La vera emergenza è la solitudine delle ong impegnate nei soccorsi in mare, dopo il ritiro sempre più lontano dalle coste libiche di Frontex e delle navi militari della missione Sophia. Con l’estate e la bonaccia di vento sono molte le imbarcazioni – per lo più piccole, gommoni e barchini – stracariche di migranti e in avaria nel Mediterraneo. Ieri sera le navi delle ong tedesche (Jugend Rettet, Sea Watch e Sea Eye) stremate, hanno comunicato di aver raggiunto i limiti della propria operatività pur continuando a vedere nel mare intorno altri natanti in difficoltà. Nelle ultime quarantott’ore già 8.500 naufraghi sono stati salvati da 14 navi, incluso due rimorchiatori messi in acqua dalla Guardia costiera italiana che coordina i soccorsi, a fare la spola con i porti siciliani e calabresi. Solo nella giornata di ieri sono stati oltre 2 mila i migranti recuperati in 15 operazioni di salvataggio mentre tra i morti si contano anche due neonati.

Il Viminale parla di un aumento degli arrivi del 14% (73 mila al 26 giugno, soprattutto nigeriani e bengalesi). Federico Soda, direttore per il Mediterraneo dell’Oim chiarisce che «parlare di pull factor dei soccorsi è fuorviante, la verità è che i migranti sono spinti a partire da push factors, tra cui il principale è il deterioramento delle condizioni di vita in Libia». L’Unhcr fa notare che si aggiungono spinte alla migrazione di carattere ambientale e di sfruttamento dei territori d’origine. È il caso delle trivellazioni offshore iniziate dalla Total che depauperano ulteriormente, oltre alle concessioni di pesca per le flotte europee, le risorse ittiche su cui vivono i pescatori senegalesi, il cui peso migratorio verso l’Italia e l’Europa è raddoppiato dal 2016.

A fronte di queste tragedie epocali, il centrodestra nostrano – galvanizzato dai recenti successi elettorali – cavalca l’onda razzista. Il «moderato» Renato Brunetta fa balenare al ministro Marco Minniti, subito pronto a rientrare in Italia interrompendo la sua visita a Washington per «l’emergenza», un altrettanto improponibile, a leggi internazionali invariate, «blocco dei porti italiani» e «dirottamento degli sbarchi verso altri paesi europei» per fermare «l’ennesima invasione».

Il tentativo di unire una coalizione frammentata sulla pelle dei migranti e rincorrere Matteo Salvini, è esplicito nelle parole di Mariastella Gelmini a Radio radicale: non basta più la ridiscesa in campo del Cavaliere, per vincere bisogna fare come Salvini e Meloni «su temi come sicurezza e immigrazione, lotta al degrado». Per lei è su questi temi che si cementa «una coalizione larga e di governo».
Ieri il ministro greco Moulazas si diceva fiero del fatto che nel 2015 con 15-17 mila sbarchi al giorno, nonostante impreparazione e errori, il governo di Atene non abbia ceduto alle sirene razziste del rifiuto. Un paese grande un sesto dell’Italia.