Scaduti i 90 giorni dall’udienza finale, la Corte d’appello di Perugia (nelle persone dei magistrati Ricciarelli, Venarucci e Falfari) ha reso note le motivazioni che lo scorso 15 ottobre portarono all’accoglimento dell’istanza di revisione del processo per calunnia nei confronti di Enrico Triaca, ex militante delle Br arrestato il 17 maggio 1978 nell’indagine sull’omicidio Moro. L’ex brigatista aveva dichiarato di essere stato sottoposto a torture dopo l’arresto, ritrattando confessioni estorte durante il «trattamento» del waterboarding, specialità del Professor De Tormentis – al secolo Nicola Ciocia, ex dirigente dell’Ucigos e capo di una squadra speciale dell’Antiterrorismo che si occupava di far cantare i militanti arrestati.

Nella sentenza si specifica che le testimonianze di Salvatore Genova (ex commissario Digos) e dei giornalisti Matteo Indice (Il Secolo XIX) e Nicola Rao (attuale direttore del Tg3 Lazio), hanno assunto un’importanza decisiva, poiché «elementi volti a colmare quell’assenza di prove dirimenti di segno opposto e tali da rendere non più idonei gli argomenti di ordine logico valorizzati nel corso dell’originario giudizio».

A ciò si aggiunge l’intervista (a firma di Fulvio Buffi) di Ciocia al Corriere della Sera nel febbraio 2012, quando rivendicò con soddisfazione la paternità del nomignolo «De Tormentis». Per i magistrati «la pluralità delle fonti consente di ritenere provato che un soggetto, rispondente al nome di Nicola Ciocia, […]confermò di aver, quale funzionario dell’Ucigos al tempo del terrorismo, utilizzato più volte la pratica del waterboarding»; fonti che consentono «di ritenere suffragato l’assunto fondamentale che a tale pratica fu sottoposto anche Enrico Triaca».

Una motivazione che sancisce un’importante verità, sepolta negli armadi di un paese smemorato. E il fatto che sia stata resa nota in questi giorni, inoltre, rappresenta una curiosa coincidenza, con la bufera sulla Rai per «Gli anni spezzati», un maquillage di quart’ordine che – nell’impegno volto ad una revisione sul significato dei cicli di lotta iniziati negli anni ’60 – non mira tanto a ribadire una verità ufficiale di Stato, quanto a umanizzare la figura di Calabresi, evitando con cura di prendere di petto le peculiarità (poco umane) del suo operato politico.

Più curioso, invece, che mentre la Corte d’appello di Perugia rendeva noto il suo parere, l’allora ministro degli Interni Virginio Rognoni, che aveva disposto la creazione della squadraccia di Ciocia, prendeva parola con una lettera al direttore del Corriere sulla presunta «debolezza» della politica italiana contro il terrorismo, sulla scorta del dibattito sorto tra Paolo Mieli e Stefano Rodotà nella trasmissione Otto e Mezzo. Nel ribadire la vittoria della ragion di Stato sul rischio di una deriva sanguinaria che avrebbe minato le basi della Repubblica, Rognoni affermava che «il terrorismo era una sfida a cui si doveva rispondere, […]e la risposta politica c’è stata; la democrazia non si è imbarbarita».

Tornano alla mente le parole di

Rognoni a Pannella nel 1982, all’indomani dell’esplosione del caso sulle torture a Di Lenardo quando, stretto nella morsa del dovere d’ufficio, sentenziò che «questa è una guerra, e il primo dovere per difendere la legge e lo Stato è quello di coprire, di difendere i nostri uomini».