Moderato ottimismo, ma senza dare nulla per scontato e soprattutto ricordando bene che il capitolo doloroso dell’agibilità politica deve ancora essere aperto. Ma, pur con tutte le mani avanti del caso, nessuno nega che ieri sera in casa Berlusconi il clima fosse lievemente più disteso. Lo spettro degli arresti domiciliari ha accompagnato il condannato per tutti gli ultimi mesi. Un po’ c’è ancora, ma il parere del Pg Lamanna favorevole alla concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali è un’ipoteca pesante sulla cancellazione dell’ipotesi più temuta. Per la certezza ci vorrà del tempo, dai 5 ai 15 giorni. Allora si scoprirà non solo di quanta libertà personale ma anche di quale agibilità politica disporrà il capo di Forza Italia nei prossimi mesi.

Il consigliere Toti, che ormai fa anche le funzioni di portavoce, giura che il capo è fiducioso e «chi parla di un presidente abbattuto e di un partito ripiegato su se stesso si sbaglia di grosso». Insiste sulla necessità di lasciare al presidente la famosa agibilità. Altri forzisti usano toni molto diversi. A Maria Stella Gelmini, per esempio, l’ombra di un sorriso non gliela strappi neanche con le tenaglie: «Comunque vada a finire è una giornata infausta per la democrazia». E Brunetta già paragona il futuro affidato al premio nobel Aung San Suu Kyi, anche lei chiusa in casa, non per evasione fiscale ma per dissenso politico, ma è un particolare: «Anche Berlusconi è un simbolo, e i simboli non si imbavagliano».

Un certo scarto tra il punto di vista del diretto interessato e quello degli adepti si coglie al volo. Il primo, come è umano che sia, è interessato prima di tutto alla sua sorte personale. Per gli altri un Berlusconi magari senza troppe costrizioni, ma tagliato fuori dalla politica, significherebbe la rotta definitiva. La faccenda, però, non è delicata solo per gli azzurri. Lo è, pur se in misura diversa, anche per Matteo Renzi. Il premier sa bene che l’intesa (peraltro traballante) con il condannatissimo è impopolare presso una parte della sua base elettorale. Quindi procede con i piedi di piombo: «Le questioni di giustizia attengono alla giustizia». Massima separazione, insomma, tra il Berlusconi politico e il Berlusconi condannato, anche se è il contrario esatto di quel che il medesimo vorrebbe.

Renzi è prudente anche per quanto riguarda il fantomatico secondo incontro: «Non è previsto. Se ci sarà ve lo faremo sapere. Nel caso immagino sarà a palazzo Chigi, o al Nazareno». Per la verità, le voci che ieri giravano nei circoli azzurri e in quelli fiorentini parlavano invece di un appuntamento già preso, addirittura per oggi. Che la voce trovi conferma è improbabile ma non impossibile. In fondo da giorni il braccio di ferro tra i due è proprio sul diverso grado di clamore che vorrebbero dare al lieto evento, col sindaco arroccato nella richiesta di un vertice quanto più nascosto possibile. Dato il modus operandi dell’uomo, l’eventuale depistaggio ci starebbe tutto.

Ma che l’incontro si svolga oggi, domani o la settimana prossima, quel che andrà a chiedere Berlusconi, salvo ripensamenti, è già noto: modifiche alla riforma del Senato tali da farlo apparire protagonista e non comprimario, ma senza insistere sull’ineleggibilità che Verdini e i suoi considerano nefasta almeno quanto l’amico Matteo. In compenso l’ex cav dovrebbe insistere sulla richiesta di calendarizzare subito il voto del Senato sull’Italicum («non lo chiediamo per noi ma per la legge stessa – dice il presidente della commissione affari costituzionali della camera, Sisto – con le divisioni che ci sono nel Pd posporlo vuol dire metterlo in naftalina») e quello potrebbe rivelarsi uno scoglio difficile da superare.

La vittoria di Verdini nell’insolita veste di colomba, al momento, è più apparente che reale. Tra i senatori serpeggia un dissenso che potrebbe trasformarsi in rivolta. Minzolini ha raccolto 37 firme in calce al suo ddl, che lascia al Senato elettivo competenze decisionali su materie chiave come la giustizia. Probabilmente qualcuno si sfilerà, ma qualcun altro dovrebbe aggiungersi. Una proposta in dissenso con quella di Renzi è stata presentata anche dalla senatrice Casellati, che tra gli azzurri di palazzo Madama è non poco influente. Con Berlusconi quasi fuori gioco e magari con un risultato choc alle europee alle spalle, non è escluso che per i forzisti il voto sul Senato si trasformi, come dice uno di loro, nel momento deflagrante del «liberi tutti».