Malgrado un’attualità molto densa e inquietante, l’Unione europea entra in un periodo di incertezza, in attesa della formazione del nuovo governo tedesco. Un limbo che potrebbe durare mesi e che se non si risolve prima di Natale rischia di prolungare la paralisi a Bruxelles, bloccando le eventuali iniziative della presidenza francese del Consiglio Ue (dal 1° gennaio), che saranno per forza condensate in tre mesi perché ad aprile ci sono le presidenziali in Francia. “Semaforo”, “Giamaica” o anche “Germania” o “Michey”, un governo a guida Spd o, malgrado la sconfitta, con leader Cdu, gli europei osservano i potenziali alleati delle coalizioni possibili, che daranno vita molto probabilmente a un governo tripartito.

Il cancelliere in pectore Olaf Scholz, leader Spd, ha rassicurato: «La Germania ha sempre avuto coalizioni ed è sempre stata stabile. Il primo punto è formare un’Ue più forte e più sovrana». Anche Armin Laschet, Cdu, si ricorda dell’Europa: «Tutti ci guardano, dobbiamo chiarire che la Germania avrà un governo capace di agire perché gli impegni europei non aspettano».

I Verdi, corteggiati da entrambi i principali partiti e in netta crescita (anche se meno di quanto sperato), sono attesi per imprimere una svolta alla Germania, finora lenta e estremamente prudente, sul fronte della transizione energetica. L’attenzione, al momento, soprattutto nei paesi del Sud, si concentra sulla presenza dei liberali dell’Fdp. Il leader, Christian Lindner, punta al ministero delle Finanze.

Anche se l’Europa è stata quasi assente dalla campagna, Lindner è notoriamente contrario a quella che in Germania è stata battezzata con disdegno «Unione del debito»: non solo si oppone a una «Unione di trasferimento», cioè alla trasformazione del Recovery in una politica permanente e non più una tantum, ma intende riportare al più presto la Ue sui vecchi binari della disciplina di bilancio, all’interno dei paletti di Maastricht e delle ancora più precise modifiche successive, per chiudere prima possibile la parentesi delle misure straordinarie messe in atto per far fronte alle conseguenze economiche del Covid.

Quello che Lindner propone è un ritorno al passato, che mette a rischio la ripresa economica nella Ue nel post-Covid e, in prospettiva, anche la transizione energetica. Questa corrente è forte nel paese che teme l’inflazione, Angela Merkel aveva imposto il rigore alla Grecia per evitarne l’uscita dall’euro e la cancelliera aveva finito per accettare il piano di rilancio di 750 miliardi con la condizione che fosse un’eccezione. I “frugali” (Austria, Olanda, Svezia, Danimarca, a cui si è aggregata la Finlandia) non hanno cambiato idea e l’asse Francia-Italia-Spagna avrà molto ostacoli per convincere sulla solidarietà del debito (quello nuovo, non certo quello passato) ed eventuali interventi per salvare le banche in difficoltà. Altri temi sono rimandati a più tardi: prima di tutto l’immigrazione e una politica di asilo comune, il capitolo si aprirà dopo le presidenziali francesi.

Anche sulla transizione energetica ci sono molte incognite, mentre la Germania, come gli altri paesi Ue, sta subendo un aumento-record dei prezzi dell’elettricità, raddoppiati, e del gas (più 300%). Entro fine anno, dovrebbe essere decisa la “tassonomia” delle energie considerate “durevoli”, per dare un quadro alla transizione, una scelta destinata a influenzare gli investimenti, che la Commissione valuta a 350 miliardi l’anno.

La Germania ha finito in tempo per le elezioni la costruzione del contestato North Stream 2, la pipeline del gas russo sotto il Baltico. La Commissione non vuole inserire il gas nella tassonomia, i Verdi appoggeranno questa posizione? Oppure ci sarà un mercanteggiamento con Parigi, che – contro il parere della Commissione e di molti paesi – vuole inserire il nucleare, da cui dipende il 70% dell’elettricità in Francia?