Istantanee di luce in conflitto improvviso con il buio. Densità nebbiosa della scena. Un’energia dirompente nei corpi, in guerra con fulminei fermi immagine. Disegni grafici in rabbioso movimento di uomini al potere che urlano in comizio, di fronte a un popolo oppresso, ma guerriero. Il tutto vigorosamente esposto verso il pubblico, complice una colonna sonora da concerto rock, che porta Bach e Verdi dentro un mix pulsante e originale di archi, chitarra e percussioni. È Political Mother Unplugged, spettacolo che ha inaugurato con emozione tra venerdì e sabato scorso Oriente Occidente Dance Festival 2021, direzione di Franco Cis. Firma coreografia e musica Hofesh Shechter, autore israeliano di focosa presa, un segno di scrittura inconfondibile che si rivelò al pubblico e alla critica undici anni fa, a Londra, con il suo primo, potente, spettacolo a serata intera: Political Mother.

Nato nel 2010 per la Hofesh Shechter Company, il lavoro con il nuovo titolo Political Mother Unplugged è stato ripreso nel 2020 a festeggiamento del decennale dalla creazione, rielaborato a misura per la Shechter II, la formazione voluta fortemente dal coreografo israeliano, composta da danzatori giovanissimi, tra i 18 e i 25 anni. Political Mother Unplugged, a Oriente Occidente in prima nazionale e di ritorno il 14 novembre al festival Aperto di Reggio Emilia, apre con una scena solitaria: un ragazzo in armatura, che sembra uscito da una saga medioevale, si trafigge con la spada mentre alle sue spalle si sfalda la scritta Political Mother in proiezione. Cambia la musica, muta la scena dopo l’attimo di buio. Una coppia di maschi appare al centro frontale, braccia aperte in diagonale bassa, una posa che è una sfida comunicata al pubblico, anche se non si è più vestiti da guerrieri. Simili a loro, entreranno in scena altri maschi e femmine, un popolo stracciato, che, volente o nolente, deve fare i conti con quegli uomini al potere, che berciano, urlano, lanciano proclami dalle proiezioni digitali animate (video di Shay Hamias) tra le quali appare, con tratti inequivocabili, anche Hitler.

SHECHTER INCIDE nei corpi dei suoi danzatori una coreografia in cui il peso dell’oppressione e l’energia di rivolta convivono fortemente nella postura: braccia tenute a corona sopra il capo, ma con spalle e teste cadenti, pesanti, gambe che però non mollano mai il ritmo, il pulsare della musica, balli in cerchi improvvisi che creano una collettività, inchino e rivolta al dittatore che è di turno. Resto impresso il momento in cui al centro quattro danzatori indossano il costume da guerriero in armatura, intorno a loro gli altri sono in abito comune. Ruotano su se stessi i guerrieri con la schiena dritta, l’atteggiamento forte, ruotano anche gli altri, con i loro corpi più ricurvi che trovano però in alcune ripetizioni il piglio di aprire le spalle e alzare il capo. E così, mentre le figure digitali, ignorando e calpestando l’umanità, continuano imperterriti ad urlare per imporre, i ballerini in carne e ossa, attraverso la danza, il corpo, ci parlano di battaglie vinte e perse, di morte e di rinascita: «where there is a pressure there is a folk dance» recita l’ultima scritta in proiezione e ciò che la danza dice sulla scena è una spinta a non arrendersi nonostante il peso.

PALPABILE, nell’energia del movimento e dell’interpretazione, la gioia dei giovani protagonisti di tornare finalmente in scena, una battaglia vinta, uno stimolo per andare avanti. Una sensazione condivisa dal pubblico che ha accolto con chiamate a ripetizione la Shechter II. L’autore israeliano, con la principale Hofesh Shechter Company, sarà in questo periodo anche a Torinodanza: in scena alle Fonderie Moncalieri con Double Murder dal 29 settembre all’1 ottobre. Intanto Oriente Occidente prosegue con un fittissimo calendario fino al 12 settembre, molta danza italiana su cui torneremo, appuntamento stasera e domani con i Peeping Tom, l’11 con Maguy Marin.