Si aspettava al varco Forza Italia. Denunciato il patto del Nazareno, il partito di Berlusconi si sarebbe effettivamente collocato all’opposizione come promesso? Ieri, alla ripresa delle votazioni alla camera sulla legge di revisione costituzionale, ecco Forza Italia fermarsi a metà di quel varco. Non più maggioranza, non ancora opposizione. Meglio: entrambe le cose, grazie alla capacità di dividersi. In tre. Dal collaborazionismo dei deputati vicini a Denis Verdini all’opposizione netta, (cominciata già da qualche settimana) dei fedelissimi di Raffaele Fitto, in mezzo, a barcamenarsi un po’, i sempre più rari berlusconiani puri. Con esiti talvolta goffi: il gruppo azzurro – 70 deputati in tutto – più di una volta finisce col votare sugli emendamenti in tre modi diversi: favorevoli, contrari e astenuti. E i forzisti litigano in aula, si rubano la parola prenotandosi per primi a nome del gruppo, parlano più a lungo per consumare minuti a danno degli avversari interni.

La scena è tanto più assurda se si considera che i numeri che può mettere in campo Berlusconi alla camera non sono decisivi. Il presidente della prima commissione Francesco Paolo Sisto tenta con un colpo di scena: in apertura di seduta si dimette da relatore del disegno di legge costituzionale (lo era insieme al democratico Fiano), «in coerenza con la rottura del patto del Nazareno, anche se con il dolore profondo del giurista che è nato tra i codici». Si tratta di un avvocato penalista esperto di sicurezza sul lavoro, accusato un giorno dal Pd – ai tempi in cui non erano alleati – di aver «studiato la Costituzione su Topolino». Sisto è tra quelli che stanno con Fitto, qualcuno della stessa banda ragiona sul fatto che avrebbe potuto far molti più danni alla riforma non rinunciando all’incarico di relatore (il posto di presidente della prima commissione l’ha mantenuto) ma era impossibile, visto che era relatore per la maggioranza.

Più serio e più pesante il colpo portato al progetto di riforma del governo dall’ex presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, ieri in articolo sulla Stampa. Si tratta di un giurista considerato assai vicino a Matteo Renzi – la figlia Lucia è una dirigente del comune di Firenze ed è stata capo di gabinetto per il sindaco oggi premier – tanto da essere stato per settimane nella lista di Renzi per il Quirinale. Le cose sono andate diversamente. La critica di De Siervo è netta: si rischiano danni gravissimi alla Costituzione, sarebbe meglio correre meno e riflettere di più. L’affondo resta senza commenti dal circolo renziano, ma il governo tradisce qualche nervosismo sull’andamento dei lavori. La ministra Boschi non si fa alcuno scrupolo di annunciare lei – al posto della presidenza di Montecitorio – il calendario dei lavori dell’aula: «Prima le riforme entro sabato, poi i decreti in scadenza e dopo la legge elettorale». Ma per andare avanti il Pd è costretto a una forzatura dietro l’altra.

Con Forza Italia unico gruppo che dispone ancora dei tempi per intervenire, ma ancora lontana dal decidere l’ostruzionismo, i deputati di 5 Stelle e Sel sono costretti a intervenire sull’ordine del giorno o sul regolamento. Ma molto presto anche quei tempi si esauriscono, effetto del contingentamento. E dunque proprio quando il parlamento arriva al cuore della riforma costituzionale, l’opposizione rischia di finire senza voce. La soluzione di prassi, sempre applicata anche per leggi meno importanti, è quella cioè di concedere tempi supplementari ai gruppi (a conti fatti senza allungare la durata complessiva, visto che il Pd sostanzialmente non interviene). Ma questa volta viene rifiutata dalla presidente Boldrini dietro evidenti pressioni del governo.

Alla notizia scatta la protesta dei deputati di opposizione, con tanto di lancio di faldoni dal gruppo di Sel. Una conferenza dei capigruppo serale di due ore non basta a risolvere il problema. Sel e 5 Stelle rifiutano la proposta «ponte» di Boldrini: un solo minuto ai gruppi che hanno esaurito i tempi, in attesa che oggi una nuova conferenza ritorni sulla questione allargando (un po’) gli spazi. I vendoliani restano in aula ma si rifiutano di votare. I grillini urlano anche a microfono spento. Insieme meditano soluzioni estreme, come l’abbandono dell’aula per lasciare il Pd da solo a votare la revisione di un terzo della carta costituzionale. A quel punto Forza Italia non potrà più nascondersi. Nel frattempo è il caos.