La proposta di Veltroni, e cioè aprire un dialogo con i 5 stelle? «Ricordo a Veltroni che il Pd nasce, per sua brillante intuizione, attorno alla vocazione maggioritaria, che nulla c’entra con la possibilità di dialogare con una forza che nulla ha a che fare con i valori del Pd». Se Renzi tace, se i renziani del Giglio magico – perlopiù ex buttafuori del Pd e fan pentiti del «ciaone» – si riciclano in giovani accomodanti pur di non essere travolti dalla caduta del renzismo, Matteo Orfini invece resta sulla linea della fermezza. Quella di Renzi, ormai contumace.

La location è l’Istituto Sturzo, l’occasione è la presentazione del saggio Déjà vu (Il Saggiatore) di Francesco Cundari, giornalista già teorico della corrente dei Giovani turchi, dove «si raccontano venticinque anni dell’interminabile guerra della sinistra» e – è la tesi – «si chiarisce che questa storia non ha inizio né fine» , «è un girotondo». Il neo-rieletto Orfini è un ex dalemiano (come l’autore del saggio) che da anni non risparmia critiche all’ex premier pur restando agli antipodi della cultura del primo segretario Veltroni (e anche del suo erede Renzi, che però ha sostenuto). Oggi però succede che i duellanti di sempre, D’Alema e Veltroni, consigliano entrambi il Pd di appoggiare i 5 stelle. Proprio come un girotondo.

ORFINI È CONTRARIO: «È come se a quello che ti ha rubato la fidanzata chiedi di andare a vivere con loro. Possiamo fare un’orgia e andare con tutti, ma mi pare un’idea strampalata». Dice anche di meglio, o di peggio: «Sarebbe drammatico se qualcuno nel Pd pensasse di far partire la legislatura con Di Maio per ottenere in cambio l’elezione di un Presidente della Repubblica del Pd». Allusione velenosa, e stavolta non ce l’ha con D’Alema.

IL PRESIDENTE PD attacca alzo zero le aperture ai 5 stelle che arrivano dal Pd dal giorno dopo quello in cui la direzione ha votato all’unanimità la linea dell’opposizione ma a anche – è qui la gabola – l’impegno a «garantire al presidente della Repubblica il proprio apporto nell’interesse generale».

DA QUEL MOMENTO, un tassello alla volta, si è costituito il frastagliato correntone dei «collisti»: quelli che anche con idee diverse proporranno di seguire la moral suasion del Quirinale in direzione della partenza della legislatura. Intanto le nuove anime si pesano in attesa di eleggere i presidente dei gruppi parlamentari. Alla Camera Lorenzo Guerini mette d’accordo tutti, sul renzianissimo Andrea Marcucci al Senato invece pesa il no degli orlandiani.

IL NAZARENO ORMAI ha archiviato «l’opposizione senza se e senza ma» impartita da Renzi. E si prepara intanto a ricevere una o forse due vicepresidenze.

ALTRA PARTITA quella per «salvare» la legislatura. Le opzioni dei «collisti» sono diverse. Dalla richiesta esplicita di appoggiare un esecutivo a 5 stelle del presidente Emiliano alla «trattativa» auspicata da Veltroni, all’idea di una legislatura costituente di Franceschini. Fino all’«esecutivo di scopo su pochi punti» di cui ha parlato il portavoce del Pd Matteo Richetti.

TUTTI PASSI E PASSETTI per tentare lo scongelamento del niet renziano. Nel sottotesto c’è il timore di tornare al voto, peraltro di nuovo con il «flipper Rosatellum». «Opposizione o voto», avverte invece Orfini. Una linea sulla quale fin qui si erano schierate solo le seconde file dell’ex segretario.

ANCHE IL REFERENDUM interno che da qualche giorno movimenta l’aria del Nazareno sarebbe un modo per rimettere in discussione la scelta dell’opposizione e affidarla agli iscritti. Come ha fatto l’Spd per dare l’ok al nuovo governo di larghe intese dopo aver giurato l’opposto per mesi. All’ipotesi è favorevole l’ex capogruppo alla camera Rosato: «Su decisioni importanti potrebbe essere utile una consultazione degli iscritti».

MA QUELLO DEL REFERENDUM è sempre stato un espediente retorico nella storia del Pd. Nello statuto c’è, all’articolo 27. Ma non si può fare lo stesso. L’istituto fu inserito dai fondatori su insistenza di Goffredo Bettini che nella sua idea di «partito agorà» lo immaginava come strumento di scelta della base sulle grandi questioni di programma e su quelle «divisive». Ma nessuno nel Pd si è mai preso la briga di approvare il «regolamento quadro» che lo disciplinerebbe e cioè renderebbe concretamente fattibile la consultazione. Il compito spetta alla direzione, ma il tema non è mai stato all’ordine del giorno, e non lo è neanche oggi. «È previsto dal nostro statuto. Non è mai successo che fosse convocato», ha tagliato corto Orfini, «Si potrebbe fare ma non credo onestamente che ci sia la necessità. Il Pd ha già deciso e ha deciso di stare all’opposizione».