Si discute da anni, e da più parti, di che cosa oggi sia la critica cinematografica: di come si stia trasformando, di come sia cambiato il suo raggio d’azione e, con questo, i parametri per valutarlo. Le indicazioni sono sempre molte, ma la chiarezza – si sa – spesso latita: e anzi, quella droga che è il cinema è come se non facesse effetto. Come dire: lettera morta. Così, in merito, uno dei pochi contributi sicuramente costruttivi che, per ora, si potrebbe dare – almeno secondo l’autore di questo pezzo – è una indicazione di metodo, un caro vecchio sano empirismo. Verificare attraverso esempi, partire da qui per il proprio ragionamento. A questo proposito, il lavoro compiuto negli ultimi tempi da Simone Starace – assieme a suoi amici/collaboratori – può rappresentare un caso interessante da studiare. O, comunque, raccontare. Starace è dal 2005 storico e critico di cinema, e oltre a curare pubblicazioni – come di prassi – e lavorare come programmatore – programmare film è atto considerato da alcuni, giustamente, gesto critico al pari della più classica scrittura di impostazione analitica – ha anche al suo attivo esperienze di coproduzione (2006, 2011) – come pochi critici-critici da noi e senza essere (ancora) tentato dalla regia-regia, come invece molti (ex) critici di ieri e oggi. Infine, a tutto questo, va aggiunta l’iniziativa di Penny Video (www.pennyvideo.it), realtà nata nel 2014 di cui è l’animatore e che si occupa di produzione e distribuzione audiovisiva, ma anche di progetti collaterali legati all’editoria multimediale. Ora, uno di questi, e quello che sembra un vero e proprio fiore all’occhiello di questa sorta di filiera, si chiama Opium Visions: una collana di film cult degli anni Sessanta e Settanta in Dvd, curata assieme a Matteo Biacca che, con Starace, condivide le passioni della cinefilia e del collezionismo. La collana è partita proprio quest’anno.
ECLETTISMO E RICERCA
La prima uscita Opium Visions è Maliziosamente (titolo originale: L’étreinte), film belga/francese del 1969, diretto da Paul Collet e Pierre Drouot, «liberamente ispirato a Histoire d’O.», una rilettura dei rapporti uomo-donna sull’onda di quegli anni attraverso la storia di una emancipazione femminile nella Parigi di allora, il tutto in una messa in scena con un certo gusto per il dettaglio che non è facile ritrovare in altre opere del genere.
La seconda uscita della collana è invece un’opera diversa per genere e stile, Donald Neilson, la Jena di Londra (titolo originale: The Black Panther), film inglese del 1977, diretto da Ian Merrick, storia della conversione criminale di Donald Nielson, rapinatore, rapitore e omicida inglese (interpretato da un giovane Donald Sumpter, il cui volto è oggi forse noto per essere stato Maester Luwin nelle prime due stagioni di Game of Thrones). Si tratta di un racconto asciutto e molto cupo che nella sua monotonia – qua e là ci sono momenti che sembrano addirittura alla Fritz Lang del periodo americano – è, anche, lo spaccato di un’epoca, quella pre-Thatcher.
A proposito di questi due film, Starace dice: «Da una parte questi film spiegano un po’ la nostra idea-predilezione per i generi un po’ estremi che sono sempre stati trascurati sia dalla distribuzione ma anche dalla critica. Ci piaceva l’accostamento perché uno è un film, diciamo, figlio del ’68, dove c’è una sorta di speranza di cambiamento – attraverso la rivoluzione sessuale e la contestazione – e proiettato sul futuro, anche con un finale aperto, mentre Donald Neilson viene da un altro contesto e dopo dieci anni e non so come dire, è un film che registra – se vogliamo – una sconfitta, la sconfitta di un modello sociale.» Più in generale invece, interrogato su Opium Visions, Starace puntualizza: «Uno dei punti di forza è il lavoro che noi facciamo sugli archivi italiani, pubblici e privati, che ci ha permesso di recuperare le edizioni italiane dei due film che sembravano perdute. Abbiamo dovuto ricostruire trovando copie spesso monche che, integrate insieme, ci hanno permesso appunto di ricostruire il doppiaggio italiano dei film, a partire dalla versione restaurata che compriamo dalla cineteche straniere».
Eclettismo e ricerca dunque, come punti di forza di un modo di fare che, da un lato, guarda alle scelte di cosa proporre andando al di là della stretta dicotomia film d’autore-film di genere e, dall’altro, mette a frutto una conoscenza sul campo invidiabile. E tutto questo, alla fine, mette in luce una sorta di idea di critica. Per usare le parole dello stesso Starace: «L’idea – un po’ una utopia – sarebbe una forma di critica integrata non dico nell’industria, ma comunque in un circuito che poi favorisce il recupero e la visione di film ma facilita in qualche modo, anche, il lavoro agli autori».
Insomma, rinnovamento dentro una certa linea, una certa tradizione.