Nel 1475, l’architetto senese Francesco di Giorgio Martini venne chiamato da Federico di Montefeltro a progettare la Rocca di Sassocorvaro. Martini la disegnò in forme tondeggianti per meglio resistere ai colpi delle bombarde e delle armi da fuoco, nuove protagoniste sugli scenari di guerra. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, cinque secoli dopo, quella fortezza sarebbe diventata formidabile baluardo a difesa di una parte significativa del patrimonio artistico italiano. E che al comando di quella fortezza non ci sarebbe stato un capitano di ventura, ma il Sovrintendente alle Gallerie e alle Opere d’Arte delle Marche, il trentenne Pasquale Rotondi. Nel 1940 l’Italia entra in guerra, e il governo decide di tutelare le opere d’arte più importanti, trovando per loro un riparo segreto. Rotondi, chiamato ad attuare il progetto, individua i luoghi adatti nella Rocca di Sassocorvaro e nel Palazzo dei principi, a Carpegna. È l’inizio dell’Operazione Salvataggio, che sottrarrà alla folle avidità di Adolf Hitler oltre diecimila pezzi provenienti dalla basilica di San Marco, dal Castello Sforzesco e dall’Accademia di Brera, dalla Galleria Borghese di Roma, dai Musei Vaticani e da altre istituzioni culturali della penisola. Accanto ai dipinti di Bellini, Canaletto, Caravaggio, Giorgione (La tempesta), Mantegna, Piero della Francesca, Raffaello, per citare alcuni maestri, la Rocca e il palazzo accolgono sculture, arredi, manoscritti, reperti antichi: 132 casse portate lì con forze esigue di uomini e mezzi. Rotondi fa togliere le etichette, mossa che si rivelerà strategica.

Goering
Dopo l’8 settembre del ’43, le truppe naziste di Hermann Goering arrivano a Carpegna. Ma la fortuna assiste il sovrintendente. La cassa aperta a caso per un’ispezione contiene degli spartiti autografi di Gioacchino Rossini, ‘cartaccia’ secondo Goering e i suoi, inutile perdere tempo. Tuttavia Rotondi preferisce non rischiare, e carica i pezzi meno ingombranti sulla sua Balilla, nascondendoli sotto il letto di casa, nel quale la moglie si finge malata. Altri colpi di scena metteranno a repentaglio l’immenso tesoro, fino all’arrivo degli Alleati a Urbino, il 9 settembre 1944. Del suo straordinario lavoro, Rotondi non farà parola con nessuno. Terminata la guerra diventerà Sovrintendente a Genova, direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, consulente durante l’alluvione di Firenze del ’66 e nel 1974 per il restauro della Cappella Sistina. Nel 1984 il sindaco di Sassocorvaro viene a conoscenza dell’Operazione Salvataggio e la racconta all’Italia e al mondo, svelando il nome di colui che la rese possibile. Il 2 gennaio 1991, una moto investe e uccide Rotondi mentre esce da Città del Vaticano. All’interno della Rocca, il Museo dell’Arca documenta tutte le opere salvate, accanto alle riproduzioni di un buon numero di esse.
Il nome di Raffaello torna indirettamente a Frontino, nel convento francescano di Montefiorentino, Tredicesimo secolo. La cappella dei Conti Oliva, 1484, conserva infatti la pala d’altare realizzata cinque anni più tardi da Giovanni Santi, grande pittore e padre di Raffaello. La firma del Santi compare anche nella chiesa di San Domenico, a Cagli, 1289, voluta dai Celestini, cui vennero aggiunti nel ’400 un portale, e nel ’600 l’abside posteriore e il campanile. In San Domenico, Giovanni eseguì l’affresco Cristo nel Sarcofago fra San Gerolamo e San Bonaventura, commissionato da Pietro Tiranni per il monumento funebre della moglie. Ma il suo capolavoro si ammira negli spazi della cappella Tiranni. Sulla parete di fondo sono raffigurate la Sacra Conversazione e la Resurrezione. Seduta in trono, al centro di un ambiente simbolico, la Madonna tiene il Bambino in piedi sulle ginocchia. Alla sinistra della Vergine, san Pietro, abbigliato con una tonaca e un mantello prezioso. Accanto a lui san Francesco, che in una mano regge un crocifisso. Appena dietro al santo, un giovanissimo angelo con le ali dorate e una veste eterea, che ritrarrebbe Raffaello bambino. A destra, san Tommaso e san Giovanni Battista, il cui viso sarebbe un autoritratto del Santi.

Le sculture di pergola
Due uomini, i loro cavalli, due donne in piedi. Sei figure in bronzo dorato, datate al 50 a.C., le uniche statue romane di questo tipo arrivate sino a noi. Immortalano un nucleo familiare di rango elevato, forse senatoriale. Scomposte in 318 frammenti dal peso di nove quintali e rinvenute per caso da due contadini in un campo nei pressi di Pergola il 26 giugno 1946, le statue erano sicuramente fuori dalla loro collocazione originale. Qualcuno le aveva occultate applicando la damnatio memoriae, la pena che nella Roma repubblicana cancellava qualsiasi ricordo dei nemici dello stato e del senato? L’interrogativo rimane tale a settant’anni di distanza dall’eccezionale scoperta. La ricomposizione del gruppo, esposto negli spazi dell’ex convento di San Giacomo, si deve a Bruno Bearzi, restauratore fiorentino che ci spese una decina di anni della sua vita, a titolo gratuito.

La rocca
Della serie ‘Tanta fatica per nulla’ fa invece parte la Rocca di Mondovio. Commissionata nel 1482 a Francesco di Giorgio Martini da Giovanni della Rovere, rimase incompiuta per la morte ravvicinata del nobile e dell’architetto. Nella prima metà del Diciassettesimo secolo divenne carcere pontificio, e carcere continuò ad essere fino agli anni ’40 del Novecento. Poderosa struttura in grado di sfidare gli assalti nemici, la Rocca non ha mai subito un attacco, nessun proiettile di cannone l’ha mai scalfita. A distanza di seicento anni, sembra terminata appena ieri. La vicenda di Paolo e Francesca, con Romeo e Giulietta coppia simbolo dell’amore tragico, intreccia inevitabilmente verità e leggenda nei fatti e nei luoghi.

Paolo e Francesca
Se a Verona si sprecano i dubbi sull’autenticità del balcone da cui Giulietta si affacciava, altrettanto forti sono quelli sulla Rocca di Gradara, dove tradizione vuole che Gianciotto Malatesta, consorte di Francesca, abbia ucciso i due amanti nel settembre del 1289. Appartengono invece alla storia i nomi delle famiglie che governarono una zona di notevole importanza strategica: oltre ai Malatesta, i della Rovere, i Mosca, gli Sforza. A proposito degli Sforza, varrà ricordare che Giovanni ebbe in seconda moglie Lucrezia Borgia, sposata ancora adolescente, inossidabile sinonimo di avvelenatrice. Calunniosa fama, poiché dietro la morte dei tanti mariti della donna ci fu sempre la mano (e il veleno) del padre, lo spietato papa Alessandro VI. La Rocca, iniziata nel Tredicesimo secolo, assunse aspetto definitivo in epoca rinascimentale. Ignoto il nome dell’architetto, splendido il risultato finale, con la duplice cinta di mura, i tre ponti levatoi, le tre torri poligonali coperte, l’ampio ed elegante cortile. Gli ambienti interni, ricchi di decori, testimoniano la potenza di coloro che si succedettero al governo del territorio.

Appendice: alla ricerca delle opere di Giovanni Santi
Consuetudine vuole che siano i padri celebri a mettere in ombra i figli. A Giovanni Santi successe l’esatto contrario. I critici e gli storici dell’arte, primo fra tutti il Vasari, secondo il quale era mediocre pittore, lo considerarono padre di Raffaello e niente di più. Tale ingiusta etichetta fu cancellata soltanto a partire dal 1822, grazie alla monografia di Luigi Pungileoni, Elogio storico di Giovanni Santi.

Giovanni, nato intorno al 1440 a Colbordolo, appena decenne si trasferì con i genitori a Urbino, dove maturò la sua formazione umanistica. Le tele, le pale d’altare, gli affreschi furono realizzati dall’artista in meno di vent’anni, alcuni purtroppo andati distrutti o dispersi. La Pinacoteca Civica di Gradara espone una Pala da lui firmata e datata 10 aprile 1484. Raffigura una Madonna in trono con Bambino. Pesaro, Fano e Urbino (in ordine di percorso) offrono numerose conferme del genio di Giovanni. Se la Pinacoteca Civica di Pesaro annovera un Cristo in pietà, è Urbino a vantare l’eredità più ricca. Nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche si incontrano la Pala Buffi, con l’Incoronazione della Vergine; le tavole del Cristo morto e Santa Chiara, del Cristo morto sorretto da angeli, della Santa Martire, le sette tavole degli Apostoli; la tavola Madonna con Bambino in trono fra i santi Elena, Zaccaria, Sebastiano e Rocco. Nella sala al primo piano della Casa di Raffaello è visibile un’Annunciazione, mentre l’affresco Madonna con Bambino, nella stanza attigua, viene attribuito dal alcuni a Raffaello, da altri al padre. Al Museo diocesano appartiene la tavola Maria in preghiera.

Fano si fregia della Pala della Visitazione, chiesa di Santa Maria Nova, e di una Madonna con Bambino e santi, presso la Pinacoteca. Al bookshop della Galleria Nazionale delle Marche cercate il catalogo della mostra Giovanni Santi. Da poi… me dette alla mirabil arte de pictura, allestita nel 2018/ 19. Il miglior souvenir di questo viaggio nelle Marche.