Le elezioni per il rinnovo delle Rsu all’Ilva di Taranto, dove si è registrata un’affluenza dell’80%, resteranno in qualche modo nella storia del sindacato italiano. Non tanto per la vittoria della Uilm che con il 38,02% dei voti si conferma prima sigla sindacale seguita dalla Fim (24%), quanto per la netta affermazione dell’Usb che ha ottenuto il 19,9% dei voti e il tracollo della Fiom, che ha dimezzato il proprio consenso (15,12%). È la prima volta che in una grande fabbrica italiana un sindacato non confederale conquista un tale consenso. Risultato ancora più eclatante se si considera che fino a un anno fa l’Usb non era neanche presente all’interno dell’Ilva.

Nonostante sulle elezioni penda la decisione del tribunale di Taranto sul ricorso presentato dalla Fiom per l’annullamento della tornata elettorale, che arriverà il 10 dicembre, il risultato merita un’attenta analisi. Specialmente in virtù del fatto che l’Ilva si appresta a vivere la fase più difficile di tutta la sua storia dal punto di vista produttivo e quindi lavorativo: un lento ridimensionamento a cui si assisterà nei prossimi anni (a marzo scadranno i contratti di solidarietà per gli 11 mila operai). Ma prima che ciò accada, le nuove Rsu si troveranno a dover battagliare con quello che in una situazione del genere è forse il peggior nemico possibile: il commissario Enrico Bondi. Risaputamente alieno in campo di relazioni sindacali.

Ciò detto, non si può ignorare che il 77% dei 9.187 votanti, ha effettuato una scelta di continuità con il passato: essere rappresentato da Uilm e Fim, da sempre vicine alla proprietà e che ancora oggi vantano un forte potere «contrattuale» (assunzioni, mantenimento del posto di lavoro, ferie e permessi premio). Certo, appare rischioso affidarsi a sigle sindacali che ogni giorno plaudono ai vuoti annunci di Bondi e Ronchi, come ai vari interventi dello Stato per «risolvere» la querelle Ilva. Né pare aver avuto peso l’inchiesta «Ambiente Svenduto», dove soprattutto Uilm e Fim non hanno fatto una «gran figura». Come la costante e cordiale frequentazione telefonica dell’attuale segretario generale della Fim Cisl Daniela Fumarola, con l’ex responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà.

Indubbiamente, chi esce con le ossa rotte è la Fiom. Passata dalle 3.063 preferenze del 2010 alle 1.389 odierne. Diversi i motivi che hanno portato alla débacle. Certamente nell’Ilva la Fiom ha recitato un ruolo molto diverso rispetto a quello esercitato in altre realtà industriali italiane. Per anni, il sindacato storicamente più vicino ai lavoratori ha recitato dentro e fuori la fabbrica un ruolo ambiguo.

Se da un lato si è sempre dichiarata parte civile nei processi che vedevano parte lesa operai deceduti sul lavoro o per malattie professionali (fornendo spesso alle famiglie assistenza legale), dall’altro la Fiom è mancata nelle battaglie sindacali interne al siderurgico e nel processo di controllo sull’attuazione dei vari atti d’intesa sottoscritti negli anni e nella tutela della salute dei lavoratori. Così come non può non aver avuto un peso l’essersi schierati con azienda e Confindustria nel ricorso al Tar contro il referendum consultivo sul siderurgico. O l’aver appoggiato il gruppo Riva nella sponsorizzazione del presunto miliardo di euro investito dal 1995 ad oggi per «ambientalizzare» la fabbrica. O, ancora, l’aver sostenuto la possibilità di un’attuale e futura eco-compatibilità dell’Ilva con la città.

Probabilmente la Fiom ha perso di vista che gli operai sono prima di tutto cittadini. Che quella fabbrica e quegli impianti vivono quotidianamente. Del resto non può essere un caso, e non lo è, se la quasi totalità degli operai presenti nel comitato cittadino «Liberi e Pensanti» e degli iscritti dell’Usb, provengano dalla Fiom e che molti di loro all’interno della Fiom avevano ruoli di primo piano. Non sono bastate la «pulizia interna» (come la cacciata dell’ex segretario Franco Fiusco) e le dimissioni dal cda del circolo Vaccarella per restituirlo agli operai.

Ancora oggi, all’interno della Fiom, quelli che vorrebbero una politica diversa vengono marginalizzati. Non è un caso che all’indomani del verdetto elettorale, il segretario nazionale Rosario Rappa, dichiari che «è necessario che la Fiom avvii un’ampia riflessione, aprendo una fase di profonda discussione sia nel rapporto con la fabbrica e i lavoratori, sia con la città e la sua popolazione». L’unico problema è che forse oggi è davvero troppo tardi.