Dopo la chiusura delle indagini sulla fondazione Open, arriva la richiesta della procura fiorentina di rinvio a giudizio per Matteo Renzi e l’intero “giglio magico”, da Maria Elena Boschi a Luca Lotti, passando per l’avvocato Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai. Tutti accusati a vario titolo, insieme ad altre sette persone e quattro società, dei reati di finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio e traffico di influenze. L’udienza preliminare davanti al giudice è fissata per il 4 aprile prossimo. E in quella sede, dopo pronunce anche contraddittorie dei magistrati che negli ultimi tre anni si sono occupati dell’inchiesta, sarà possibile forse capire se le attività della fondazione erano lecite o meno.
Da una parte c’è la tesi dei sostituti procuratori Luca Turco e Antonino Nastasi, secondo i quali la fondazione Open avrebbe agito come un’articolazione di partito, incassando dal 2014 al 2018 più di 3 milioni e mezzo di euro violando le norme sul finanziamento ai partiti. Dall’altra Matteo Renzi, considerato direttore di fatto di Open, che respinge le accuse replicando che non c’è stato alcun finanziamento illecito perché i bonifici dei finanziatori della fondazione erano tracciati ed erano utilizzati per sostenere iniziative come la Leopolda: “Non una manifestazione di una corrente o di una parte del Pd – ha sempre ricordato sul punto il leader di Italia Viva – ma un luogo di libertà, senza bandiere”.
Per certo, alla notizia della richiesta di rinvio a giudizio, la reazione di Renzi e del suo staff è andata sopra le righe: “Si tratta di un atto scontato e ampiamente atteso – ha replicato il senatore di Scandicci, che ha denunciato a sua volta i magistrati – che arriva ad anni dai sequestri del novembre 2019, poi giudicati illegittimi dalla Cassazione. Finalmente inizia il processo nelle aule e non solo sui media, e i cittadini potranno rendersi conto di quanto sia fragile la contestazione dell’accusa, e di quanto siano scandalosi i metodi della procura di Firenze”.
A seguire dallo staff renziano un attacco brutale ai pm che hanno firmato gli atti giudiziari; “È utile ricordare che la richiesta è stata firmata dal procuratore Creazzo, sanzionato per molestie sessuali dal Csm; dal procuratore aggiunto Turco, che volle l’arresto dei genitori di Renzi poi annullato dal Tribunale della Libertà, e dal procuratore Nastasi, accusato da un ufficiale dell’Arma di aver inquinato la scena criminis nell’ambito della morte del dirigente Mps David Rossi”.
La replica della magistratura requirente è negli atti dell’inchiesta: oltre alle spese per le convention della Leopolda, la fondazione Open raccolse finanziamenti per due campagne per le primarie del Pd (2012 e 2013), la seconda delle quali portò all’elezione a segretario di Renzi, e anche per la campagna elettorale per il referendum costituzionale del 2016. Così a Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi, in quanto membri del consiglio direttivo di Open, oltre che a Renzi, è contestato il finanziamento illecito ai partiti.
Le altre persone fisiche sotto accusa sono Patrizio Donnini, Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Carmine Ansalone, Giovanni Caruci e Pietro Di Lorenzo, mentre le quattro società sono la Toto Costruzioni Generali, la Immobil Green, la British American Tobacco Italia e la Irbm. Da segnalare la doppia accusa di corruzione nei confronti di Luca Lotti, rimasto nel Pd e oggi attivo nella corrente dem Base Riformista. Secondo la procura Lotti, al governo fra il 2014 e il 2017 prima come sottosegretario alla presidenza del consiglio e segretario del Cipe e poi come ministro dello sport, in quel periodo si sarebbe adoperato per disposizioni normative favorevoli a due società che avevano finanziato Open, la Toto Costruzioni e la British American Tobacco. Oltre a Lotti sono accusati di corruzione l’avvocato Bianchi come ex presidente di Open, l’imprenditore Patrizio Donnini, e Alfonso Toto.