Era il due settembre 2015 quando al mondo intero venne sbattuta in faccia la tragedia dei morti in mare cercando di fuggire verso l’Europa. Tra loro Ailan Kurdi, tre anni, morto affogato e ritrovato cadavere sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. La foto di Nilüfer Demir fece il giro del mondo, il giornale tedesco Bild, in seguito alle proteste, decise di rimuovere l’immagine dal giornale e dal sito. Anche altrove smosse molte coscienze. Tra queste quella di Oscar Camps. Titolare di Pro-Activa, una società di salvataggio in mare con sede a Badalona, vicino Barcellona, che indignato decise di partire immediatamente per l’isola greca di Lesbo, per portare aiuto professionale a quelli che cercavano di approdare a migliaia dalla vicinissima Turchia. In quel periodo la guerra siriana provocava esodi biblici. E lì la sorpresa. Nessuno aiutava quelli che rischiavano di annegare, anzi, la barca della guardia costiera ostentava un cannone sparacqua.

NON SOLO, i giubbotti salvagente erano farlocchi, dentro nascondevano bottiglie di plastica vuote, totalmente inadeguate. Tra l’ostilità di quasi tutti Oscar e il suo amico e collega Gerard si danno da fare per salvare vite. Scoprono che i gommoni, stracarichi, vengono bucati apposta perché se arrivi con mezzi tuoi sei un immigrante illegale, se invece sei un naufrago puoi chiedere asilo. L’impresa di Oscar sembrerebbe senza speranza, senza prospettive e sostanzialmente inutile, un po’ come scopare il mare con la forchetta. Invece viene raggiunto dalla figlia Esther, dal contabile dell’azienda e con un gommone e due moto d’acqua, rischiando la galera in continuazione, smuovono qualcosa, al punto che il 28 ottobre, supportati anche dai pescatori greci, salvano 242 persone tra donne, uomini, bambini vecchi. Esseri umani disperati, genitori che hanno perso figli, figli che hanno perso genitori, persone che hanno perso tutto. Oscar è indignato con l’Unione Europea «non esiste, esiste solo un mercato comune», e insiste «se tu puoi salvare una vita dall’acqua tendendo una mano e non lo fai, questa non è passività, è inazione deliberata, è omicidio».
Open Arms – La legge del mare, presentato alla Festa di Roma racconta proprio la vicenda che sta all’origine della nascita di Open Arms, l’Ong fondata da Oscar Camps che poi nell’arco di cinque anni ha operato 60mila salvataggi in mare.

E PER QUEL 2015 Oscar Camps, presente a Roma, ha ottenuto anche il riconoscimento come catalano dell’anno e in seguito il parlamento catalano gli ha conferito una medaglia per la sua attività umanitaria. Il film di Marcel Barrena racconta quindi la genesi di un’associazione no profit, ma soprattutto la magnifica visionarietà del suo artefice che purtroppo, come sottolineava Gino Strada riferito al suo lavoro, non si tratta di scegliere chi salvare ma chi non salvare, chi lasciare morire. Scelte devastanti. Il film si ferma prima, quando Eduard Fernández, che interpreta il protagonista, decide di non rientrare in Spagna e di proseguire l’opera iniziata con base in una locanda che poi diventerà la sede dei primi soccorsi ai naufraghi e profughi. No, nessuna pretesa di risolvere il problema, che non sono tanto le persone che fuggono da guerre e persecuzioni (se i paesi «civili» non vendessero armi il problema non esisterebbe) ma sta tutto dentro di noi, protetti dai muri di casa, e qualcuno nella civile Europa vorrebbe far costruire barriere lungo i confini. Si dice che, secondo Camps, in ognuno di noi alberghi un piccolo Salvini, che talvolta diventa enorme, prende il sopravvento, al punto da definire «pacchia» la fuga spesso mortale di migliaia di persone che ha trasformato il Mediterraneo da culla della civiltà a cimitero dell’umanità.
Oscar a suo tempo, non senza essere stato prima dubbioso, decise poi di rilasciare interviste e di permettere al fotografo Santi Palacios, di testimoniare quanto veniva fatto perché, in fondo, tutto era nato proprio per la devastante prepotenza di quell’immagine del corpo inerme di Ailan, capace da sola di toccare corde altrimenti inarrivabili.