Raoul Vaneigem scrisse nel suo Trattato del saper vivere del 1967: «Quelli che parlano di rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi esplicitamente alla vita quotidiana, senza comprendere ciò che c’è di sovversivo nell’amore e di positivo nel rifiuto delle costrizioni, costoro si riempiono la bocca di un cadavere». In questa frase è contenuto il senso profondo di un decennio fondamentale della storia italiana, quel lungo ’68 che inizia nei primi anni Sessanta e arriva fino alla fine degli anni Settanta segnando il passaggio dalla modernità alla postmodernità.

UNA GRANDE ONDATA rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, raccontata per la prima volta nella sua complessità da Nanni Balestrini e Primo Moroni ne L’orda d’oro, uscito alla fine degli anni Ottanta per la Sugarco e poi ampliato e ristampato più volte da Feltrinelli. Un testo seminale che ha sganciato la memoria di quella storia dalla retorica degli «anni di piombo» che continua ambiguamente a occupare il dibattito pubblico italiano, restituendone tutta l’intelligenza e una ricchezza culturale e artistica che non smette di suscitare interesse a livello internazionale.

Proprio in questa chiave le istituzioni più prestigiose, in Europa e al di là dell’Atlantico, si stanno muovendo da alcuni anni acquistando documenti e materiali provenienti da fondi di movimento autogestiti – e spesso tenuti in piedi contando esclusivamente sulle proprie risorse personali – per costituire archivi che restituiscano alla collettività un patrimonio pubblico di inestimabile valore.

Se da un lato ricordiamo la recente acquisizione da parte della Bibliothèque nationale de France di tutto l’archivio di Guy Debord, dall’altro non possiamo, invece, non registrare il totale disinteresse della maggior parte delle istituzioni pubbliche italiane che lasciano che questi fondi continuino a esistere solo grazie al volontariato – quando non provvedono addirittura a sgomberare gli spazi che li conservano -, o vadano a finire nelle biblioteche di prestigiose università private statunitensi.

Nel senso di una proficua collaborazione va invece la lodevole iniziativa della Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte di Roma che ha provveduto a digitalizzare più di mille documenti, molti dei quali rari, provenienti dall’archivio della Fondazione Echaurren Salaris. Uno dei fondi più ricchi in assoluto e che ora, nell’ambito dell’iniziativa di ricerca Rome Contemporary, diventa navigabile in rete a questo indirizzo: dlib.biblhertz.it/PE.

UN PATRIMONIO di volantini, disegni, fotografie, riviste e libri che fanno riferimento alle aree molto articolate del situazionismo e dell’operaismo, le due anime del movimento che hanno tenuto insieme arte e politica nella convinzione che non ci possa essere rivoluzione politica che non sia anche radicale reinvenzione dello stile, degli affetti, dell’immaginazione e della vita quotidiana.

Navigando sulla piattaforma – presentata ufficialmente ieri insieme a due borse di studio per finanziare ricerche sulla controcultura e l’arte in Italia -, e rivedendo i numeri di Mondo beat e Pianeta fresco, Quindici e Lotta continua, A/traverso e Oask?!, emerge tutta la potenza di quell’impresa culturale – e non si può qui non ricordare il ruolo fondamentale svolto da Primo Moroni – che ha fatto dell’autorganizzazione la chiave di volta di una grande sperimentazione capace di sconfiggere la miseria del neoliberismo. Solo l’intraprendenza politica, mai disgiunta da quella artistica, può aprire lo spazio a quel possibile che è indispensabile per non soffocare. Ricordando sempre che ogni volta che queste due anime si disgiungono parliamo di cadaveri, politici o artistici.