“Speravamo che potesse rispondere della sua morte anche tutta la catena di comando, ma per ora così non è”. Le parole di Carlo Garozzo, presidente dell’associazione Giustizia per Lele, fondata dagli amici di Emanuele Scieri, danno bene l’idea dell’amarezza con cui i familiari e i coetanei siracusani del giovane paracadutista di leva hanno accolto la decisione del gup Pietro Murano di assolvere, “perché il fatto non sussiste”, l’ex generale Enrico Celentano e il maggiore in congedo Salvatore Romondia,
L’ex comandante della Folgore, e l’ufficiale che nel 1999 era un suo sottoposto, erano imputati di favoreggiamento perché, per la procura di Pisa, si erano adoperati già prima della scoperta ufficiale del cadavere di Scieri, il 16 agosto, per insabbiare e addirittura depistare gli investigatori, riducendo la tragedia nella scuola di parà Gamerra a una “prova di coraggio” finita male da parte del giovane militare. Per la magistratura requirente entrambi sapevano del dramma che si era consumato nella caserma, ma per tutelare il buon nome della brigata e il simbolo della Folgore avevano scelto di non dare impulso e collaborare alle indagini, preferendo coprire i comportamenti criminali dei caporali. Ma a quasi 22 dalla tragedia, e nonostante il certosino lavoro di una commissione parlamentare di inchiesta che di fatto aveva riaperto il “cold case” della morte del ragazzo, segnalando nero su bianco le pratiche di nonnismo allora in voga alla Gamerra, per il gup non c’erano elementi probatori tali da far condannare il due ex ufficiali, che avevano chiesto il rito abbreviato e quindi sono stati giudicati in udienza preliminare.
Sempre con il rito abbreviato è stato giudicato e assolto uno dei tre sottufficiali che per la pubblica accusa si erano resi materialmente responsabili della morte di Scieri. Andrea Antico, 41 anni, l’unico a vestire ancora la divisa, era accusato di concorso in omicidio volontario aggravato. Nel giugno scorso Antico aveva fatto dichiarazioni spontanee nel corso dell’udienza preliminare, sostenendo che lui era partito il 12 agosto per una licenza, e che non si trovava a Pisa quando Scieri 24 ore dopo fu ucciso, e neppure il 16 agosto quando fu rinvenuto il cadavere. Una difesa che il giudice ha ritenuto convincente, tanto da assolvere il sottufficiale “per non aver commesso il fatto”.
Il gup Murano ha invece rinviato a giudizio gli altri due graduati accusati dell’omicidio, gli ex caporali Alessandro Panella, 41 anni, e Luigi Zabara, 43 anni. Il primo era capocamerata di Scieri nel giorno in cui il 26enne siracusano arrivò, e morì, alla Gamerra, e anche il secondo era in servizio quel 13 agosto. “Non eravamo in caserma quella notte, siamo innocenti”, hanno sempre detto i due fin dalla riapertura dell’inchiesta. Ma in questo caso il giudice ha deciso per il processo, che inizierà nell’aprile del prossimo anno, anche perché i difensori di Panella e Zabara avevano scelto per i loro assistiti il rito ordinario.
“Leggeremo con attenzione le motivazioni (attese entro 90 giorni, ndr.) – ha commentato il procuratore Sandro Crini – poi valuteremo se e come ricorrere”. Molto deluso ma ancora combattivo il fratello di Emanuele, Francesco Scieri: “Continueremo a batterci per scrivere la verità. Il pronunciamento del gup sembra smontare anche le conclusioni della commissione parlamentare sul ruolo del presunto favoreggiamento dei due ufficiali. Ma resto convinto che loro un ruolo lo abbiano avuto, è inimmaginabile che non lo abbiano avuto”. Sulla stessa linea Garozzo: “La sentenza ci lascia l’amaro in bocca, ma siamo abituati agli schiaffi e le nostre guance sono rosse da anni per i colpi presi. Però oggi un tribunale finalmente suggella un fatto incontrovertibile: Emanuele non era un folle suicida ma qualcuno lo ha ammazzato. E ora un processo accerterà questa verità, che per troppi anni hanno provato a negarci”.