Rimangono agli arresti i sette imprenditori calabresi fermati nell’ambito dell’indagine sull’omicidio del giornalista slovacco Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová. Non è ancora chiaro se la polizia abbia delle prove contro il gruppo calabrese o il loro arresto sia frutto, piuttosto, della pressione mediatica e del risalto dato alla pista italiana.

L’opinione pubblica è in allerta. Nelle maggiori città slovacche si sono svolte marce in memoria di Kuciak e della compagna e per la giustizia. In migliaia sono scesi in strada, in un clima di freddo gelido e rabbia, per chiedere che non ci siano reticenze o ostacoli nella ricerca degli assassini della giovane coppia. Per una parte della società slovacca la polizia è un’istituzione poco affidabile, accusata, soprattutto nei casi che coinvolgono politici al potere, di ridimensionare o insabbiare le indagini piuttosto che portarle avanti. Le stesse richieste vengono avanzate anche dall’opposizione parlamentare, che ha partecipato alle marce a differenza dei rappresentanti del governo. A Bratislava ha preso parola il presidente della repubblica Andrej Kiska.

Nel mirino c’è, sempre di più, il braccio destro del premier Robert Fico, Robert Kalinák, vicesegretario del principale partito del governo, lo Smer-Sd (Direzione-Socialdemocrazia), e ministro dell’Interno. Ad aggravare la sua posizione sono state le notizie secondo cui le autorità italiane avrebbero avvertito quelle slovacche sul pericolo delle infiltrazioni della ’ndrangheta nel Paese. L’opposizione accusa il ministro di non aver agito e chiede le sue dimissioni. Ma Kalinák, che guida il dicastero dal 2006, salvo una pausa tra il 2010-2012, può contare sull’appoggio del suo partito e del premier che non vuole cedere all’opposizione per paura di un effetto domino che porterebbe alla caduta del governo. Senza dimenticare che è stato Fico a portare ai piani alti del palazzo del governo personaggi con passate frequentazioni con il gruppo degli imprenditori calabresi oggi in prigione.

Meno paziente invece uno dei partner di governo, il partito centrista ungherese Most- Híd. «Continuiamo a pensare che il ministro degli Interni debba dimettersi – ha detto il segretario generale della formazione Bela Bugar – Ma ritengo che non sia necessario sacrificare tutto il governo». Dal partito è già uscito, in protesta contro la linea morbida, uno dei deputati, mentre Bugar ha smentito le indiscrezioni secondo cui la ministra della Giustizia Lucia Žitnanská sarebbe pronta a lasciare il governo se Kalinák non si dimetterà entro una settimana.
L’affaire va a impattare su una coalizione molto eterogenea, che comprende anche i nazionalisti del Partito nazionale slovacco. Attualmente il governo può contare su una maggioranza di 78 deputati sui 150 presenti all’Assemblea nazionale slovacca.

All’opposizione la formazione più attiva nelle marce e nelle contestazioni è il conservatore Partito della gente ordinaria e delle personalità indipendenti (Olano). Il partito aveva già promosso delle proteste in piazza contro Fico e Kalinák, quando, tra il 2016 e 2017, uscì lo scandalo del complesso residenziale Bonaparte di Bratislava. Secondo le ricostruzioni della stampa, l’immobiliarista Ladislav Bašternák, persona molto vicina al ministro Kalinák, avrebbe incassato dallo stato rimborsi Iva non dovuti per almeno cinque milioni di euro. Nel complesso residenziale, davanti a cui il movimento Olano ha organizzato diverse manifestazioni, abita in affitto anche il premier Fico. Anche allora risuonarono i discorsi contro la mafia senza scomodare la ’ndrangheta.