Quando nello scorso novembre scoppiò il caso delle bambine geneticamente modificate dal biologo cinese He Jiankui, la comunità scientifica mondiale aveva espresso sorpresa e indignazione. Ma non tutti gli scienziati erano all’oscuro di quell’esperimento.

Secondo uno scambio di e-mail risalente allo scorso aprile e reso pubblico dall’agenzia Associated Press, il biologo Craig Mello dell’università di Harvard, premio Nobel per la medicina nel 2006, aveva saputo dallo stesso He che gli embrioni modificati erano stati impiantati con successo nell’utero di una volontaria. Sarebbe, tra l’altro, la prima verifica indiretta che l’esperimento annunciato è davvero avvenuto. Per quell’esperimento non autorizzato, He è stato appena licenziato dall’università di Shenzhen.

Secondo le mail, Mello aveva manifestato il suo dissenso a He e segnalato i rischi connessi alla sperimentazione. Ma aveva tenuto per sé l’informazione nonostante la modifica genetica degli embrioni a scopo clinico sia proibita in tutto il mondo, Cina compresa. Lo scandalo è aggravato dal fatto che Mello era consulente scientifico della Direct Genomics, la società fondata da He per sfruttare le sue scoperte a scopo commerciale. Nonostante fosse al corrente della sperimentazione, Mello era rimasto al suo posto: le sue dimissioni dalla società risalgono infatti al 6 dicembre, quando ormai la notizia era nota a livello mondiale.

Altri scienziati, come il biologo statunitense William Hurlbut, avevano già ammesso di essere al corrente delle intenzioni di He, ma di non averle prese sul serio. Le rivelazioni sulle mail tra He e Mello gettano un’ombra ancora più inquietante sulla capacità di auto-regolazione della comunità scientifica.

Sull’intervento di ingegneria genetica realizzato da He con la tecnica CRISPR-Cas9 vige una moratoria internazionale, stabilita non solo dalla legge ma anche dagli stessi scienziati. La moratoria fu concordata in un summit a Washington nel 2015 e poi ribadita a Hong Kong nello scorso novembre, proprio sull’onda mediatica dell’annuncio di He.

Troppe ancora le incognite sui possibili effetti collaterali causati da mutazioni non desiderate e dalla complessità stessa delle interazioni tra i geni. Inoltre, almeno a parole tutti gli scienziati hanno sostenuto la necessità di una discussione pubblica trasparente sulle possibili applicazioni di questa tecnica genetica. Essa, infatti, consente di modificare il Dna con grande facilità. Se applicata agli embrioni, potrebbe prevenire malattie genetiche ma anche generare individui con facoltà potenziate, per giunta trasmissibili alla discendenza.

Un quadro di norme bioetiche condivise, dunque, è più che mai necessario, anche perché la facilità di utilizzo della tecnica CRISPR rende difficile la vigilanza sulle possibili violazioni. Se nemmeno scienziati da Nobel come Mello dimostrano trasparenza, il rischio del far west è reale. E recuperare la fiducia dei cittadini nei confronti della scienza diventa ancora più difficile.