Omar Sharif, il fascino discreto di un giocatore
Cinema Carismatico, seduttore, talento che incantava lo schermo, l’attore egiziano è morto ieri al Cairo. Per tutti sarà per sempre «Il dottor Zivago», e «Lawrence d’Arabia» ma a scoprirlo era stato Chahine
Cinema Carismatico, seduttore, talento che incantava lo schermo, l’attore egiziano è morto ieri al Cairo. Per tutti sarà per sempre «Il dottor Zivago», e «Lawrence d’Arabia» ma a scoprirlo era stato Chahine
Per uno dei tanti paradossi dell’immaginario Omar Sharif è conosciuto dal pubblico italiano più giovane per una scena che compare in un film in cui lui non figura tra gli interpreti. Nel 1989 Nanni Moretti firma Palombella rossa e davanti a un televisore che diffonde Il dottor Zivago si raduna varia umanità con partecipazione da stadio alla scena in cui Sharif-Zivago sul tram vede dal finestrino Christie-Lara camminare lungo il marciapiedi.
Sussulto di emozioni forti. Nanni con la calottina da pallanuoto, davanti a lui una giovanissima Asia Argento tifano e urlano perché Lara si volti e veda Zivago dopo tanti anni di separazione. Invece nulla, lei tira dritto inconsapevole. Lui scende dal tram abbozzando una corsa e un infarto lo stronca. Fiction nella fiction.
Purtroppo ieri pomeriggio, in un ospedale del Cairo, la realtà ha deciso di stendere un velo sulla vita di Omar proprio con una crisi cardiaca. Già segnato dall’Alzheimer, come aveva pubblicamente dichiarato qualche mese fa Tarek, il suo unico figlio, se ne va a 83 anni l’attore di origine araba più famoso al mondo.
Sharif nasce a Alessandria, in Egitto, e il suo vero nome è Michel Dimitri Shalhoub,figlio di Joseph,commerciante, e di Claire Saada, greci cattolici, provenienti dal Libano. Il giovane studia presso l’inglese e prestigioso Victoria College e si laurea in matematica e fisica ma proprio in quel periodo scopre di essere attratto dalla recitazione. Un’infatuazione momentanea perché, terminati gli studi, inizia a lavorare con il padre, che si riaccende però quando Youssef Chahine, il grande maestro del cinema egiziano, lo reccluta per il film Lotta nella valle – Cielo d’inferno. Sul set Omar conosce Faten Hamama, la passione divampa. Michel si converte all’Islam, e prende il nome di Omar el Sharif.
I due si sposano (divorziano una ventina d’anni dopo e Sharif non si risposerà più), hanno un figlio, Tarek, realizzano molti film insieme, soprattutto diretti da Salah Abu Seif, regista che permette loro di lasciar trasparire anche una impensabile carica di sensualità e diventano la coppia cinematografica più ammirata d’Egitto. Omar ha carisma e talento, buca lo schermo come si dice, e dal cinema egiziano, che comunque all’epoca godeva di notevole credito, comincia a frequentare anche produzioni internazionali.
La consacrazione arriva nel ’62 con Lawrence d’Arabia di David Lean. Per la sua interpretazione dello sceriffo Alì viene nominato all’Oscar come migliore attore non protagonista e si aggiudica il Golden Globe per la stessa categoria oltre al premio come miglior esordiente.
Da quel momento Sharif diventa una star internazionale, ha talento e non viene relegato al ruolo dell’«arabo». Le sue interpretazioni spaziano tra personaggi di origini diverse: spagnolo in E venne il giorno della vendetta accanto a Gregory Peck (saranno ancora insieme in L’oro dei McKenna) e anni dopo, accanto a Sofia Loren, per Francesco Rosi in C’era una volta. Mongolo in Gengis Khan, ridiventa emiro in Le meravigliose avventure di Marco Polo, è anche ufficiale nazista in La notte dei generali e l’arciduca Rodolfo d’Austria in Mayerling con Catherine Deneuve.
Il successo travolgente, che lo rende un’icona fuori dal tempo arriva con Il dottor Zivago (’65), diretto ancora da David Lean che lo vuole per il personaggio del medico russo la cui vita è sconvolta dalla rivoluzione del romanzo di Boris Pasternak – uscito prima in Italia grazie al lavoro di Giangiacomo Feltrinelli. Sharif vincerà un nuovo Golden Globe, questa volta però da protagonista.
Gli anni che seguono lo vedono sempre in primo piano, anche se il successo di quei due titoli sarà irripetibile. Il 1967 è l’anno della guerra dei sei giorni. Omar, accanto a Barbra Streisand in Funny Girl, dove interpreta un giocatore ebreo, diventa vittima dei pregiudizi, prima della comunità ebraica che fa dubitare la produzione sul rispetto del contratto, poi dei suoi stessi compatrioti che vorrebbero gli venisse revocata la cittadinanza per una scena d’amore con l’attrice.
Nei decenni successivi viene spesso chiamato per ruoli importanti, e la sua filmografia è fitta (Il seme del tamarindo di Blake Edwards con Julie Andtews, Juggernaut di Richard Lester) comprese anche diverse apparizioni in produzioni egiziane. Ma viene ricordato più per le sue passioni (il bridge, il gioco d’azzardo e le donne) che per il suo lavoro cinematografico.
Bisogna aspettare il 2003 per ritrovarlo con Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di François Dupeyron, e alla Mostra di Venezia di quell’anno Omar ritrova l’affetto e l’apprezzamento del pubblico che gli assegna il suo premio. Poi c’è anche molta tv, apparizioni, ma anche scrittura di episodi, e ogni volta che il suo volto baffuto appare è un sussulto legato a quello sguardo intenso e a quel sorriso sornione impreziosito dagli incisivi leggermente separati. Solo un paio d’anni fa Valeria Bruni Tedeschi lo ha reclutato per il suo Un castello in Italia, niente più che un’amichevole partecipazione, una delle sue ultime, prima che la malattia lo rapisse e il cuore facesse i capricci facendo apparire la scritta fin
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