Oltre il Ring. Come la boxe ha cambiato una borgata (Galeone, pp. 170, euro 20) è un testo forte, dove a fianco delle contrastatissime foto di Daniele Napolitano ci sono i racconti di Giovanni Cozzupoli e la postfazione di Valerio Nicolosi. Sullo sfondo le borgate romane del Tufello e del Quarticciolo, al centro di tutto il ring della palestra popolare. Intorno, anche se in modo relativamente marginale, il progetto «Boxe contro l’assedio» per sostenere il pugilato a Gaza. La nobile arte quindi è solo un pretesto per poter raccontare un mondo ai margini.

Scrive Nicolosi: «Se dovessi dare una descrizione della poesia direi che è questo: un locale caldaie abbandonato che diventa una palestra per tutti; un luogo dove lo sport è un tuo diritto e anche se non hai i soldi per pagare l’iscrizione ti alleni». Perché la boxe dilettantistica è tutt’altro che uno sport solitario, anzi, nelle palestre quello che conta è il gruppo. Fabio, Manu, Milos, Godwin, Fabrizio, le loro famiglie, i loro amici, il loro quartiere e poi, certo: i combattimenti. Dove ci si va tutti insieme.

GAZA E IL QUARTICCIOLO, due zone completamente differenti ma due lotte contro un nemico in comune: l’assedio. Uno l’assedio tipico delle periferie, l’altro l’assedio contro uno Stato che non permette di esistere. Così di pugilato c’è relativamente poco e di quartiere c’è tanto. Non ci sono i combattimenti, ci sono le battaglie. C’è in sostanza un atteggiamento verso il mondo che è proprio di chi pratica sport da contatto. Di chi un giorno della sua vita, per cercare un qualche riscatto, decide di vestire i guantoni e di mettersi in bocca il paradenti.

Oltre il ring però parla delle periferie e del pugilato in modo molto irrituale perché non si cerca la spettacolarizzare, la violenza e la tendenza a trasformare le periferie in una specie di suburra, ma di raccontare attraverso le storie di alcune persone che gravitano intorno alla palestra del Quarticciolo come sia possibile politicizzare uno sport e costruire reti di solidarietà che non necessariamente hanno a che fare con la pratica agonistica. Si parla di quei luoghi conquistati con fatica, che sembrano pezzi recuperati dal rottame: «Che matto er presidente. Se non ce stava lui mica ce saremmo riusciti a tirà su la palestra. Quando semo entrati non ce stava niente, solo monnezza. Oh, se semo ammazzati de lavoro, un bucio de cu…».

IMMAGINI E PAROLE che colgono un aspetto essenziale del pugilato: i cazzotti non sono tanto importanti quanto lo sono le relazioni umane che ruotano intorno alle palestre. Un modo di raccontare che non è cupo, come spesso lo sono le storie di pugilato e periferie, ma che Cozzupoli vuole divertente e ironico: «Poraccio Tolindo, chiuso a casa come ‘nsorcio. Certo oh, mille volte mejo der gabbio. Almeno te magni la roba de mamma». Un libro, insomma, che ti porta dentro quel mondo, te lo fa immaginare, ti viene voglia di andarci, di essere alle riunioni, alle assemblee, come se, sfogliandolo, invece di sentire il flebile fruscio delle pagine ne uscissero i rumori, le grida e il gong a dividere le pause dagli assalti.