Tra le molte questioni correlate all’intensificazione delle disuguaglianze sociali che la pandemia sta ferocemente illuminando, ce n’è una in particolare sulla quale i movimenti femministi insistono da almeno mezzo secolo: l’insostenibile sfruttamento della riproduzione sociale, ovvero di quell’insieme di attività materiali e relazionali, essenziali per la riproduzione della vita degli esseri umani e degli ecosistemi.

LA RECENTE RISTAMPA di Oltre il lavoro domestico. Il lavoro delle donne tra produzione e riproduzione (ombre corte, pp. 189, euro 15), la richiama con grande tempismo, andando ad aggiungere un prezioso tassello alla riscoperta e attualizzazione del femminismo marxista degli anni Settanta, per il quale l’Italia ha rappresentato un originale laboratorio di analisi nonché una fucina di pratiche politiche.
Non è di certo per una cortese ritualità che il volume, uscito nella prima edizione nel 1979 e costituito da tre saggi firmati da Lucia Chisté, Alisa Del Re ed Edvige Forti, venga oggi arricchito dalla postfazione di un gruppo di attiviste di Non Una di Meno Padova (Giulia Bonanno, Giovanna Di Matteo, Greta Meraviglia e Bruna Mura).

Dal contrappunto tra i saggi e la postfazione emerge infatti un solido concatenamento di genealogie femministe, che dagli scioperi delle tessili, delle tabacchine e delle mondine alla fine degli anni Quaranta arriva fino allo sciopero contro la violenza maschile proclamato nel 2016 dalle argentine di Ni Una Menos e rapidamente globalizzato: un circolo virtuoso disegnato dal metodo politico femminista, che parte dalle esperienze di lotta per interrogare e rivedere l’analisi teorico-politica per poi ritornarvi subito, attraversando instancabilmente tempi e spazi.

A partire dalla consapevolezza che «è impossibile leggere le lotte delle donne con gli stessi strumenti con cui si leggono le lotte operaie», anche quelle delle donne operaie (Del Re), i tre saggi utilizzano criticamente le categorie marxiane per rispondere al bisogno primario di storicizzare e de-naturalizzare la divisione socio-sessuata del lavoro: una struttura dell’organizzazione sociale storicamente mutevole, ma che proprio nel capitalismo si è irrigidita per attribuire alle donne, cioè a una «determinata sezione di classe», tutti i compiti di produzione e riproduzione della forza-lavoro.

È proprio attraverso questa lente che le tre autrici possono tratteggiare una lettura unificante delle lotte delle donne negli anni Settanta. Le grandi mobilitazioni per l’aborto e quelle per i servizi, le occupazioni di case o di spazi da adibire ad asili nido e scuole materne, ma anche le lotte per la riduzione del tempo di lavoro, contro i licenziamenti o il muro delle qualifiche, hanno rappresentato la «concretizzazione materiale» del «rifiuto generalizzato del lavoro, domestico e non, della casa come luogo di sfruttamento e della famiglia come nucleo gerarchico che di questo sfruttamento scandisce ritmi e tempi» (Chisté).

IL LIBRO CI OFFRE dunque una archeologia del presente, ovvero la possibilità di rileggere nel suo darsi la tendenza di quei processi di trasformazione della produzione e della riproduzione che ci hanno traghettate fin qui, da una crisi a un’altra: «l’allungamento e l’intensificazione del tempo di lavoro legato alla riproduzione» che si è esteso ben oltre il lavoro domestico (Forti), il cui esito è stato descritto in anni più recenti con la formula della femminilizzazione del lavoro, ha assunto oggi forme sempre più esasperate, non solo per le donne.

Come sottolineano le autrici nella nuova prefazione, è nella continua espansione di quell’oltre che si precisa la sostanziale «lungimiranza di quelle lotte», che avevano già individuato la «spesa pubblica» come oggetto di scontro con lo Stato e la qualità della vita liberata dal lavoro come campo politico ricompositivo, decisivo.
Un’indicazione che risuona fondamentale anche nel presente pandemico: nel conflitto che si è delineato tra l’ingiunzione alla produzione e le ragioni della salute intesa come benessere sociale complessivo, solo la ricomposizione politica delle mille figure della riproduzione sociale, sempre più specializzate e quindi parcellizzate, potrebbe imporre un radicale ripensamento, una rivoluzione, dell’organizzazione sociale.