Nel teatro europeo, l’Olanda sta svolgendo la parte del «bad cop» ed è accusata di aver bloccato il varo dei Coronabond, cioè una garanzia comune dei debiti. Ma dietro l’Olanda c’è la Germania, oltre ad Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia. Cioè ci sono governi – di varia tendenza politica – che per il momento restano molto prudenti sulla risposta alla crisi della pandemia.

Dai paesi che adesso puntano il dito contro l’Olanda molte multinazionali hanno trovato qui un terreno fiscale favorevole. Sfilano qui i grandi nomi mondiali, Mitsubishi, Sony, Shell, Airbus, Renault-Nissan, Ikea, Caterpiller, General Electric, Heinz, Uber, Nike, Tesla, Foot Locker.

Anche il capitale italiano non disdegna il fisco del «poliziotto cattivo»: c’è la prima filiale di STMicroelectronics, oltre a Fca (Fiat-Chrysler), e la sede olandese è stata anche scelta per la holding della futura unione Psa-Fca.

Mark Rutte, primo ministro olandese accusato dall’opposizione di sinistra di essere un «broker del grande capitale», è un liberale, arrivato al suo terzo mandato, che ha ereditato un paese in deficit e lo ha portato a rispettare i parametri di Maastricht (54% del pil di debito pubblico, deficit al 2,2%), con un tasso di disoccupazione al 3,7%.

Rutte, che è in coalizione con tre partiti democristiani (Cda, D66, Uc) e che nel passato ha anche governato con i socialdemocratici, deve fare i conti all’interno con l’estrema destra di Gert Wilders, che resta potente.

L’Olanda segue una linea pragmatica e, secondo i francesi, quando la Germania cambierà posizione, Amsterdam seguirà.

Il dibattito esiste anche in Olanda. Un ex banchiere centrale, Nout Wellink, ha messo in guardia in questi giorni: «Se il sud crolla, il nord opulento cesserà di esistere». L’Unione europea e l’euro sono stati favorevoli all’Olanda, che propone un modello di alta qualificazione e di forti infrastrutture. Amsterdam ha anche forzato la mano al destino, come hanno rivelato i Paradise Papers: ai limiti delle regole – e a volte oltrepassandole – ha manovrato per attirare capitali, non solo dai partner europei, grazie a tutti i meandri dell’ottimizzazione fiscale.

L’Olanda attira capitali per un valore che equivale a 5 volte il suo pil. Con la Brexit, molte società sono emigrate da Londra. Nella Ue non c’è l’armonizzazione fiscale e in questo delicato settore ci vuole il voto all’unanimità (cioè c’è diritto di veto). La piazza olandese è così diventata, con il Lussemburgo, l’Irlanda, Cipro, Malta, un paradiso fiscale nascosto.

Le multinazionali scelgono l’Olanda per stabilire la loro sede sociale, grazie non solo a una tassa sulle società al 25,5% (e al 19% fino a 200mila euro di utili), ma anche – e soprattutto – per i ruling, cioè accordi dietro le quinte che danno ancora più vantaggi e permettono di eludere le tasse, una cifra tra i 5 e i 10 miliardi l’anno per la Ue nel suo complesso.

Ma qualcosa si sta incrinando su questo fronte. Quattro anni fa, la Commissione ha condannato l’Olanda per i troppi favori fatti a Starbucks. Poi è stata aperta un’inchiesta che riguarda Nike, che attraverso un sistema complesso dal 2006 al 2015 ha ottenuto vantaggi che Bruxelles equipara a «aiuti illegali di stato».

Nel novembre 2018 era scoppiato lo scandalo Shell, 13 miliardi di utili non tassati, perché la compagnia petrolifera gravava i conti con le perdite delle filiali per occultare i profitti. Qualche anno fa, Rutte è stato al centro di una forte polemica politica, perché ha difeso, prima di dover fare marcia indietro, un progetto di azzeramento delle imposte sui dividendi degli azionisti. Secondo Oxfam, l’Olanda è il quarto «peggiore paradiso fiscale», dopo Isole Vergini, Bermude e Caiman.

Ma oggi ci sono «progressi» afferma l’organizzazione. È l’effetto di un voto al Parlamento europeo che un anno fa ha messo l’Olanda, assieme e Lussemburgo, Irlanda, Cipro e Malta, nella «lista nera» dei paradisi fiscali. Nel 2009, il presidente statunitense Obama aveva designato l’Olanda come il «campione dei paradisi fiscali per le multinazionali Usa», che assieme alle Bermuda e all’Irlanda, attira circa un terzo dei profitti fatti all’estero da società statunitensi.

Nel mirino di Usa e Bruxelles c’è la Cv, la commandita vennootshap, un tipo di società senza personalità giuridica, semplice partner di società estere, che permette di sfuggire alle tasse.