Giovanni Pinna Foto di Alessandra Trucillo

Arriva nel capoluogo partenopeo direttamente da Cagliari dove ha concluso il tour di Vasco Rossi (sold out in tutte le date, come al solito), il lighting designer che da 28 anni illumina i concerti del mito italiano del rock, e non solo. Giovanni Pinna si prepara ora a salire sulla plancia di comando della regista Lida Castelli per inventare le luci degli show che apriranno e chiuderanno le Universiadi, firmati da Marco Balich.

Cambio di registro totale?
Sì, completo. Anche se con molti punti in comune. Quello del San Paolo sarà uno spettacolo a 360 gradi. Illuminare un concerto rock significa avere ben poche regole, al contrario di quanto accade in uno show che, oltre ad essere visto dal vivo, viene trasmesso in mondovisione. C’è il pubblico dello stadio e contemporaneamente ci sono le esigenze di fotografia televisiva: meno contrasti e più bilanciamento,un delicato equilibrio tra luci e proiezioni da calibrare continuamente.

La potenza di fuoco che avete a disposizione è la stessa usata nei concerti di Vasco?
I corpi illuminanti sono simili, con qualche integrazione e qualche differenza. Ma l’utilizzo è diverso, la libertà di improvvisazione decisamente più limitata.

Tu hai già illuminato alcuni eventi delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, sei abituato alle passerelle della moda e a valorizzare le opere d’arte, sei considerato uno dei Ld più eclettici e innovativi, sempre all’avanguardia con le nuove tecnologie. Ma basta la capacità tecnica? Il lighting design è una forma d’arte?
Assolutamente sì, è una forma di espressione altamente creativa. Per questo non basta la conoscenza tecnica del materiale e degli sviluppi tecnologici, anche se sono necessari.

Hai cominciato nel 1984, quando la maggior parte dei Ld erano sostanzialmente illuminatori di cose. Oggi uno come te è considerato creatore, o “manipolatore”, di emozioni altrui. Come è cambiato questo mestiere?
È cambiato tanto, soprattutto è cambiata l’attenzione con cui si guarda oggi al lighting design, da noi. A differenza che in altri Paesi, in particolare negli Usa o in Gran Bretagna, in Italia non si è mai dato molto valore molto valore alla figura del LD e ad un riconoscimento conclamato della nostra professione. Lo show business attecchisce da noi a ranghi ridotti.

Hai cominciato lavorando sul campo, come aiuto elettricista e rigger, e oggi insegni al Politecnico di Milano. L’università dà una marcia in più ai tanti giovani che provano ad entrare in questo mondo?
Il mio corso al Politecnico è solo una parte di un programma finalizzato a specializzare designer nell’illuminazione di interni. È quello il settore che dà maggiore occupazione, il mondo degli eventi e degli spettacoli è troppo selettivo. Motivo per il quale in Italia non ci sono corsi Master per i live show. Da noi non c’è una London school of arts, anche se come in ogni forma d’arte si cresce con la pratica, non basta la formazione. In ogni caso, ancora oggi le produzioni riservano una parte minore del budget all’allestimento dello spettacolo. E sono pochi gli artisti che hanno questa sensibilità.

Ce l’aveva Fabrizio De André, con il quale hai lavorato dal ’91 al ’98…
Sì, lui ce l’aveva. Non che fosse il solo: avevo già lavorato ai concerti di Eros Ramazzotti e altri, la figura del tecnico di luci nei live non era una novità, ma Fabrizio era più sofisticato, voleva qualcosa di più, capiva l’importanza delle luci. Ricordo soprattutto l’ultimo allestimento del tour «Anime Salve» del 1998: fu un bellissimo spettacolo.

E ce l’ha Vasco Rossi.
Beh, Vasco Rossi è un altro mondo. Nessuno come lui ha il senso dello show, nessuno come lui è curioso e interessato a tutto ciò che è innovativo, anche in questo campo.

È questo il segreto del vostro connubio quasi trentennale?
Non so quale sia il motivo di questo sodalizio, so che Vasco potrebbe permettersi qualsiasi lighting designer del mondo, alzare il telefono e chiamare chiunque. Ma continua a scegliere me, insieme a tanti altri professionisti che gli sono fedeli da decenni, perché Vasco ha voluto e saputo costruire una comunità creativa come nessun altro. Evidentemente apprezza come interpreto le sue canzoni. Perché è questo quello che faccio: farmi prendere dalla sua musica e interpretarla con la luce. E io posso solo esserne onorato.