Figlio di István Eörsi, scrittore, poeta e traduttore, condannato a otto anni per aver sostenuto la sollevazione del 1956 come giornalista, e poi amnistiato, László Eörsi è storico all’Istituto per gli studi sul 1956 di Budapest. A questo argomento ha dedicato numerose opere. È tra gli intellettuali attivi nella critica al governo Orbán. Lo abbiamo incontrato per rivedere i fatti del 1956 ungherese a distanza di sessant’anni esatti e parlare con lui del loro significato nell’Ungheria di oggi.

 

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Sembra che in un certo qual modo la memoria dei fatti del 1956 divida ancora il paese dal punto di vista politico, in quanto ciascuno dei principali partiti sembra dirsi vero erede dei protagonisti dell’insurrezione.

Diciamo che i socialisti si definiscono più precisamente eredi di Imre Nagy, per il resto è tipico loro, tacere in merito a quanto accaduto nel 1956. Il Fidesz e il partito Jobbik (l’estrema destra xenofoba ndr) convergono nel modo di sentirsi eredi del 1956 distorcendone del tutto i significati, l’essenza. In particolare c’è da sottolineare il fatto che entrambi i partiti considerano un modello coloro i quali combatterono nelle strade di Budapest, ma ne mistificano gli obiettivi. (Allo scoppio della rivoluzione hanno dato un contributo decisivo l’intellighenzia riformista e i settori del partito, situati all’opposizione, che in sostanza volevano porre fine a un certo modo tradizionale di fare politica.) Per essi la cosa più importante, riguardo al 1956, è la lotta per l’indipendenza, non tanto l’impegno per la democrazia, al quale danno meno risalto. Come dicevo, questi due partiti distorcono pesantemente gli obiettivi del 1956 e li rivestono di ideali e principi fondamentalmente conservatori. Come se i rivoluzionari, i combattenti per la libertà, volessero tornare al sistema di Horthy e all’influenza che la Chiesa aveva all’epoca sul paese. No, almeno il 90% di loro respingeva in modo netto il regime di Horthy e intendeva realizzare gli ideali di sinistra ma con l’abbattimento dello stalinismo. Volevano realizzare, insieme all’indipendenza, l’autogestione operaia e la riforma agraria. Gli ideali liberali erano tutt’al più presenti nell’aspirazione a libere elezioni, ma, in generale, non hanno caratterizzato gli obiettivi dell’insurrezione.

È possibile che la troppa retorica abbia svilito la memoria del ’56?

Direi piuttosto che la politica attuale ha creato tale situazione. Di questo non si possono incolpare i socialisti che, come ho detto prima, tacciono preferibilmente sul passato. Invece, i cosiddetti partiti di destra, hanno sempre strumentalizzato il 1956 per realizzare i loro obiettivi politici, sia in patria che all’estero. Tutto questo ha portato alle già citate pesanti falsificazioni su questo tema.

A tutt’oggi ci sono quelli che sostengono che fra l’ottobre e il novembre del 1956, si verificò in Ungheria una rivoluzione di sinistra, secondo altri la cosa non è ancora del tutto chiara anche perché elementi reazionari avrebbero avuto un ruolo importante nell’insurrezione. Lei, da storico, come vede questo aspetto?

Se consideriamo stampa, programmi radiofonici, manifesti e volantini dell’epoca, non possiamo avere dubbi sugli ideali dei rivoluzionari. Tutto questo va a integrare le dichiarazioni politiche contenute nei documenti redatti allora. Alla luce di tutto ciò non possono esserci malintesi sull’orientamento assunto dagli insorti del 1956. Chiaramente la valutazione di quegli avvenimenti è resa difficile dal fatto che la gran parte dei principi coltivati dalla sinistra di allora sono cambiati molto dopo il cambio di sistema che ha portato alla diffusione di un’ideologia completamente diversa.

Ultimamente sono emerse novità di rilievo dagli studi sui fatti del ’56?

Non mi risulta che ci siano grandi novità su questo argomento. Di piccole, invece, ce ne sono di continuo. Vi lavoro anch’io, e i miei studi hanno portato, quest’anno, all’uscita di tre volumi sulla storia del 1956 nelle aree periferiche.

Quanto a Imre Nagy, possiamo dire che è sempre stato comunista, ma proprio all’epoca della rivoluzione si liberò da tutte le vecchie consuetudini.

In questi ultimi decenni si è detto che l’insurrezione del 1956 ha lasciato ai posteri un messaggio universale. A suo modo di vedere è così? Si può parlare ancora di messaggio attuale, e se sì, qual è?

Oggi il messaggio più attuale è quello relativo alla libertà di stampa. La recente chiusura del quotidiano di opposizione Népszabadság costituisce un duro colpo inferto a questo valore. L’abuso di potere rivelato dalla chiusura del Népszabadság, avvenuta per motivi politici, non si intona certo con le celebrazioni ufficiali per ricordare il 1956. Viktor Orbán, che ha conquistato un potere assoluto, è l’ultima persona che possa simboleggiare il 1956 in quanto non rappresenta la libertà ma un potere autoritario e autocratico. Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che prima e dopo il 1956 la sorte del paese veniva decisa a Mosca, è perciò comprensibile l’aspirazione alla libertà, all’indipendenza degli ungheresi di allora. Oggi il nostro è un paese del tutto indipendente, il nazionalismo non ha ragione di esistere, è solo una tendenza perniciosa.

I combattenti del 1956 volevano libertà e democrazia e oggi c’è chi manifesta contro Orbán e la politica antidemocratica del suo governo. Un importante scrittore ungherese, Lajos Parti Nagy, critico nei confronti di questo governo, ha detto una volta che il paese è privo di identità democratica. Qual è la sua opinione su questo e sulla situazione attuale dell’Ungheria?

È chiaro che ci siamo allontanati molto dallo spirito del 1956. In questi ultimi anni stiamo assistendo all’abbattimento dello stato di diritto e della democrazia. Invece di impegnarsi sul fronte della solidarietà, il governo porta avanti una campagna permanente basata sull’odio. E come già detto, ha soppresso brutalmente anche la libertà di stampa.