Secondo Gianni Camocardi, «la certificazione biologica per un’azienda che fa vino è un punto di partenza, ma non un punto di arrivo: è da salvaguardare, comunque, perché c’è la certificazione “in campagna” che fa tanto», anche se questo non definisce in automatico un vino naturale.

Camocardi è fondatore di Officine Enoica, un’associazione nata nel 2009 che sostiene la vitivinicoltura artigiana, naturale e di territorio e si adopera per ridurre la distanza tra chi il vino lo produce e chi lo consuma (www.officinaenoica.it). Officina Enoica ha co-organizzato «MiVino», mostra mercato che si è tenuta a Milano il 25 e 26 maggio scorsi, realizzata in collaborazione con la casa editrice Altreconomia e l’associazione Arci Milano.

«Il nostro obiettivo è da sempre quello di far conoscere quei vini che non è facile trovare in enoteca, ma anche quelle etichette che non è mai facile bere di nuovo, perché alcuni vini sono irripetibili, e si trasformano anno dopo anno, dato che dipendono da fattori naturali, come quelli climatici» spiega Camocardi.

Chi si appassiona di vini naturali, cioè, non deve fossilizzarsi su un vino, su un etichetta, ma comprendere altri fondamentali. Il primo: andare nelle aziende agricole, per quanto è possibile. «È solo lì che tu capisci – sottolinea il fondatore di Officina Enoica – incontrare il vignaiolo, camminare le sue vigne e vedere lo stato della cantina, rappresenta il momento più importante. Per fare un sano vino, devi raccogliere un frutto sano, e questo può evitare brett o muffe. È un fattore che va al di là delle certificazioni».

Chi gira l’Italia e cammina le vigne, come i social sommerlier di Officina Enoica, svolge un ruolo sociale fondamentale: scoprire nuovi giovani vignaioli sconosciuti al grande pubblico, immaginarne il talento fin dalle prime vendemmie, fare mo in modo che il loro vino venga assaggiato, e quindi bevuto. Questa è l’operazione “MiVino”, apprezzata anche dagli operatori del settore: una fiera piena di nomi nuovi.

«Le due o tre scoperte più belle? Alcuni nomi: Le Vieux Joseph e Les Petits Riens in Valle d’Aosta, Kmetija Zahar in Friuli-Venezia Giulia, e poi Granja Farm in Piemonte».

Granja Farm, nata nel 2015, è a Chiomonte, in Alta Val di Susa: chi lavora terreni come questi, con pendenze che superano il 30 per cento, dov’è necessario fare tutto a mano, è definito «viticoltore eroico», ma loro preferiscono farsi chiamarla «viticoltura di resistenza». Dicono di sé: «Ci siamo stabiliti in questa valle che rischia di essere devastata dal cantiere del TAV, abbiamo deciso di metterci in gioco e di lottare in ogni modo anche attraverso il lavoro della terra. La Terra che rischia di essere inquinata e compromessa per sempre dall’alta velocità noi la coltiviamo per difenderla». Granja Farm gestisce terreni in comodato d’uso gratuito, molti dei quali recuperati da uno stato di totale abbandono. Non c’è solo il vino, nell’orizzonte aziendale: si producono anche frutta e verdura, miele, formaggio, conserve e succhi di mela. Due le etichette: Black Rebel, uvaggio di avanà, bicuet e barbera, e Red Rebel, dolcetto vinificato in purezza. A Granja Farm ci sono anche 30 capre, 3 asini, 2 cavalli e un pollaio multietnico.

È eroica anche la viticoltura di Ilaria Bavastro, che lavora quasi esclusivamente da sola circa due ettari di vigna, suddivisi tra la collina di Aosta e l’area di Chétoz, tra Quart e Nus. Gli appezzamenti sono piccoli e il più delle volte inerpicati sul crinale della montagna, e spesso vi si trovano viti molto vecchie, sostenute da pali in legno e con impianti dai filari molto stretti. Per questo, le uve della cantina Le Vieux Joseph sono frutto di lavorazioni fatte a mano. Lo stesso vale per Les Petits Riens, l’azienda di Fabien Bonnet e Stefania Galimberti, che sulle colline intorno alla città di Aosta allevano una dozzina di vitigni, tra cui Cornalin e Petit Rouge, vinificati anche in purezza.

«Questi sono vignaioli che faranno parlare di sé» assicura Gianni Camocardi, insieme ai 18 vignaioli che sono arrivati