Un anno fa in Brasile l’esplodere dei movimenti di protesta contro i Mondiali di calcio colse di sorpresa il governo di Dilma Rousseff, l’ex guerrigliera indicata da Lula alla sua successione politica. I segnali si erano avuti già sei mesi prima, quando a Porto Alegre ci furono le prime manifestazioni di protesta contro gli sprechi dei mondiali, che divamparono durante la Confederations Cup disputatasi in Brasile a giugno del 2013. Si disse allora che la scintilla fu l’aumento del prezzo del biglietto dei mezzi di trasporto locali, in realtà il malessere nelle classi sociali meno abbienti delle principali città brasiliane covava da tempo.

Eventi come i mondiali di calcio e la costruzione di nuovi stadi e infrastrutture, cui si aggiungono quelle per le olimpiadi del 2016, costituiscono occasioni ghiotte per l’intreccio di affari politico-sportivo-economici. In Brasile la Fifa che, oltre all’organizzazione dei mondiali, ha la giurisdizione dell’ordine pubblico fino un raggio d’azione di 400 metri dallo stadio, è supportata da aziende che sono a capo del capitalismo mondiale, Pepsi-Cola, Mc Donald’s, Microsoft, Apple, Bayer, cui si aggiungono banche e compagnie telefoniche, tutte coinvolte nella costruzione delle grandi opere legate ai mondiali di calcio e alle Olimpiadi. Si tratta di multinazionali che nei due eventi sportivi brasiliani, hanno visto l’opportunità di grandi affari e il Brasile è diventato un unico enorme cantiere.

Sono stati rimodernati vecchi stadi come quello di São Paulo, ormai decrepito, ma nella frenesia della spesa è stato costruito uno stadio nuovo di zecca a Brejinho, un centro abitato di settemila abitanti situato nel Pernambuco, noto per la mancanza di una rete idrica. A Brejinho non avranno l’acqua, ma lo stadio non poteva mancare, anzi la capienza prevede diecimila posti, più degli abitanti del luogo. A coloro che hanno fatto notare la sproporzione, il sindaco di Brejinho João Pedro ha risposto serafico: «Pensate che la popolazione non crescerà mai?».

La politica delle costruzioni sovradimensionate per i Mondiali di calcio e le Olimpiadi del 2016, hanno provocato deficit consistenti nelle casse dei vari stati. L’ammodernamento del Maracanà e la costruzione della linea 4 della metropolitana, che dovrebbe portare fin sotto lo stadio gli spettatori del mondiale e dell’evento olimpico che si svolgerà tra due anni, ha un costo di 4,1 miliardi di reais, pari a 1, 3 miliardi di euro, un’operazione che tra gennaio e ottobre del 2013 ha determinato un buco di 400 milioni di euro nelle casse dello stato di Rio de Janeiro, destinato ad aggravarsi in vista delle Olimpiadi del 2016. Si tratta di alti costi che sono in netto contrasto con le politiche dei tagli alla spesa pubblica avviati dal governo centrale di Dilma per ridurre il debito, spese per le grandi opere scaricate sui cittadini che, parallelamente, hanno visto aumentare il costo della vita. Una contraddizione che a giugno del 2013 ha fatto esplodere i movimenti sociali di protesta contro la Copa. Si tratta di movimenti sorti spontaneamente, prima tra gli studenti, che protestarono il 12 giugno contro l’aumento dei biglietti dei mezzi pubblici a São Paulo, poi tra le fasce sociali più deboli fino a estendersi rapidamente in tutto il Brasile. Manifestazioni così imponenti non si vedevano da tempo, la politica di Lula aveva ridotto al minimo i dissensi.

A Brasilia, il 15 giugno del 2013, giorno dell’inaugurazione della Confederations Cup, migliaia di manifestanti fuori dallo stadio scandirono slogan contro gli sprechi e la corruzione, mentre sugli spalti in tanti fischiarono il discorso di Dilma Rousseff e del presidente della Fifa Joseph Blatter e, nella stessa città, nei giorni successivi furono oltre centomila i manifestanti che circondarono il Congresso National, il luogo simbolo del potere politico. Le dimostrazioni di protesta al grido di Se não vai tiver direitos não vai ter copa (Se non ci sono diritti, non ci sarà la coppa) si sono avute in tredici capitali brasiliane e lo slogan «Ocupa Copa» ha preso a circolare. La piattaforma politica elaborata dai movimenti denominata Não var ter copa ha cominciato a diffondersi già il 25 giugno del 2013.

Una protesta di strada che ha colto di sorpresa i governanti, i quali hanno risposto con una dura repressione nei confronti dei manifestanti e con arresti di massa, e perfino il sindaco di São Paolo chiese la cessazione delle violenze e la scarcerazione dei manifestanti. I primi a essere intimiditi sono stati i giornalisti, perché non documentassero le proteste in corso e le violenze da parte della polizia militare, ma grazie al lavoro dei mediattivisti (un ragazzo che filmava ha perso un occhio per un proiettile di gomma) la rete ha documentato le violenze subite dai manifestanti, proiettili ad altezza d’uomo, lacrimogeni, sostanze urticanti. I movimenti che si sono formati intorno a «Ocupa la Copa» sono stati dipinti dai principali media come estremisti intenti a trascinare il Brasile nel caos.

A dare man forte alle tesi dei manifestanti sono stati alcuni calciatori brasiliani tra i quali Romario, ex nazionale verdeoro, oggi deputato socialista del partito di Lula, che tra i primi ha riconosciuto la fondatezza delle proteste. Manifestazioni pacifiche si sono avute a Curitiba e Salvador, a Fortaleza e Belo Horizonte, mentre a Rio de Janeiro, quando il corteo raggiunse la Porta da Assemblèia Legislativa un fitto lancio di lacrimogeni cercò di impedire l’avvicinarsi dei manifestanti, che riuscirono ad arrivare al portone d’ingresso e per la rabbia gli dettero fuoco. A seguito di questa manifestazione, nel quartiere popolare Complexo de Marè di Rio, la polizia militare che fa capo al Bope, con il pretesto di effettuare un’operazione antinarcos, dopo uno scontro a fuoco tra componenti di una gang e la polizia, effettuò arresti di massa di attivisti politici che avevano partecipato alle manifestazioni di protesta. In una di queste incursioni poliziesche, atte a ripulire le favelas, qualche mese fa la notte del 22 aprile 2014, è morto massacrato di botte dalla polizia militare, la famigerata Upp, Douglas Rafael da Silva Pereira, un famoso ballerino noto per alcuni varietà della tv brasiliana. La sua unica colpa è stata quella di trovarsi nell’insediamento abusivo della favelas Pavao-Pavozinho di Rio de Janeiro.

I movimenti sociali di protesta hanno dato vita a CopaRebelde, la cui prima edizione si è svolta a Luz l’anno scorso, ripetuta quest’anno il 12 e 13 aprile, che ha visto la partecipazione di 32 compagini: «Le squadre sono rappresentate dai movimenti sociali attivi nello stato di São Paulo – afferma l’ideatore dell’iniziativa Raphael Piva, giocatore nella squadra di calcio Autônomos FC di São Paulo, fondata nel 2006 da diverse realtà sociali di movimento, ispiratosi alla formula dei mondiali antirazzisti di Castelfranco Emilia cui ha partecipato due anni fa- che rappresentano le comunità indigene, quelle palestinesi, le baraccopoli, oltre alle organizzazioni femministe, anarchiche, autonomi, radio libere e studenti. Si tratta di movimenti impegnati nella lotta per l’alloggio, i trasporti, la legalizzazione della marijuana. La CopaRebelde non si è svolta in periferia, ma in uno spazio pubblico nel centro di Luz, un luogo denominato anche Crackolandia, per l’alto consumo di crack da parte di ragazzi, dove si intrecciano interessi dello Stato, della speculazione immobiliare e delle grandi imprese».

Manifestazioni ci sono state il 15 maggio nelle principali città brasiliane, in particolare a Rio de Janeiro e San Paolo, dove i manifestanti hanno avuto duri scontri con la polizia, e continuano ancora a pochi giorni dall’inizio del mondiale. La festa sta per cominciare, i mondiali attendono il calcio di inizio, poi tutto sarà dimenticato e la Copa, che Neymar, probabilmente alzerà al cielo, farà dimenticare tutto. Il prezzo dello spettacolo planetario lo pagheranno i brasiliani, come è accaduto al popolo greco per i folli costi delle olimpiadi del 2004.