Se durante i secoli i soggetti dipinti nei quadri hanno raggiunto un realismo della rappresentazione espresso dalla supremazia del disegno sul colore, come ad esempio in Ingres, successivamente la tensione alla verità “fotografica” si è andata sfaldando in elaborazioni più soggettive, quasi primitive, in un soltanto illusorio ritorno ad un passato ancestrale della pittura, come nei lavori di tanti artisti del post-impressionismo. Un fenomeno non troppo dissimile sta avvenendo per i videogiochi: perchè le attuali tecnologie consentono agli sviluppatori di programmare panorami e soggetti che appaiono come impressionanti imitazioni della realtà ma nello stesso tempo c’è un progressivo scollarsi da questo verismo hi-tech, per ritrovare le forme originali, più antiche, dell’intrattenimento elettronico. Una di queste drastiche, emoziananti, inversioni di rotta è Octopath Traveler, che ci riporta al passato dorato del videogioco di ruolo giapponese, dove personaggi abbozzati attraverso pochi pixel in ambientazioni bidimensionali poco più che minimali mettevano in atto indimenticabili epopee, raramente eguagliate -grazie alla potenza del racconto e a dinamiche ludiche profonde e complesse- da altre opere appartenenti a questo genere uscite durante l’ultimo decennio.

Esclusiva per Switch Nintendo, Octopath Traveler è la cronaca del viaggio di otto personaggi in un mondo dove il fantasy più naive e fiabeso si estingue nella crudezza e nella violenza di un’epica adulta e desolante. Lo stile grafico adottato da Square-Enix per questo gioco di ruolo è quello dei classici come Final Fantasy IV, V e VI, capolavori dell’era a 16 bit, sebbene sia elaborato e variato attraverso l’utilizzo dosato di tecnologie più moderne, che consentono ad esempio una sbalorditiva profondità di campo e spettacolari effetti climatici e ambientali, come quello utilizzato per illustrare l’acqua.

Sebbene in questo mirabile ottetto elettronico la vita degli otto protagonisti si intersechi in maniera fondamentale, ogni loro storia è da intendere come unica, una novella quadripartita nella cornice di un grande romanzo. Ognuno dei personaggi di questo originale mucchio selvaggio ha il suo ruolo, i suoi drammi e le sue motivazioni che compongono archi narrativi originali e sorprendenti, come quello della danzatrice e prostituta Primrose con la sua sete implacabile di vendetta, oppure quello della cacciatrice Hanith, alla ricerca di un mostro terrificante che potrebbe avere ucciso il suo anziano mentore. Non c’è un personaggio la cui trama risulti meno efficace di quella di un altro, e insieme le loro vicende formano un affresco magnifico, in grado di astrarre il giocatore con la sua potenza ludica, pittorica e diegetica per oltre cento ore e deliziarlo con un comparto musicale toccante, laddove meravigliosi leit-motiv che ricordano e non ci fanno rimpiangere le melodie sublimi di Nobuo Uematsu, aggiungono preziose sfaccettature alla già complessa psiche dei protagonisti.

Octopath Traveler recupera inoltre una spietata, almeno per il pubbilico più assuefatto alla modernità, giocabilità del passato: decine di battaglie casuali contro nemici mai sciocchi, combattimenti a turni durante i quali se si decide una mossa sbagliata può significare il disastro, “boss” che per essere sconfitti richiedono scontri di decine di minuti e ore di preparazione per raggiungere il livello adeguato. Ma non c’è mai noia, in questo videogame così rigoroso, solo una crescente passione per la sua bellezza.

Meraviglia estiva per astrarsi dal calore in un altrove fantastico, Octopath Traveler è un gioco di ruolo giapponese che si potrebbe definire nostalgico, ma che non lo è, perchè risulta nuovo e rivoluzionario nel ribadire la sua apparteneza al passato, dimostrando che tra i motivi per cui il videogioco è anche arte ci sono il suo non dipendere necessariamente da tecnologie milionarie e il rapporto dialettico che intrattiene, in maniera feconda, con la sua storia.