«Noi, gente di Zurawlow, stiamo occupando un terreno del nostro villaggio dal 3 giugno 2013 quando abbiamo scoperto per caso che la Chevron, accompagnata dalla polizia, stava entrando nel campo per recintarlo. Noi siamo contrari ai tentativi illegali di recinzione del territorio da parte di Chevron Polska». Inizia con queste parole il “manifesto” di OccupyChevron, il movimento di protesta che da più di un anno sta lottando contro le trivellazioni da fracking che il colosso energetico americano vorrebbe portare a termine dopo le esplorazioni degli anni passati.

Una storia che ha inizio nel 2007, quando la Chevron ottiene la licenza dal ministero dell’ambiente polacco per la ricognizione e l’esplorazione di shale gas nell’area di Grabowiec, un perimetro di circa 1.200 km2 che include 19 comunità del distretto di Zamosc, nel Sud-est della Polonia.

Nel 2011 la Chevron inizia il lavoro di esplorazione attraverso lo scoppio di cariche sismiche nel villaggio di Rogòw, che provocano crepe nei muri di alcune case e l’inquinamento di una falda acquifera. La popolazione chiede spiegazioni alla compagnia Usa sull’impatto ambientale delle perforazioni.

Pochi giorni dopo la Chevron si trasferisce nel vicino villaggio di Zurawlow. Nel gennaio del 2012 la multinazionale americana organizza un incontro con gli abitanti della zona per informarli sui «possibili profitti» derivanti dallo shale gas. Alle domande dei cittadini, però, i rappresentanti della Chevron hanno preferito non rispondere, come ci conferma Lech Kowalski, uno dei portavoce della protesta.

Un mese dopo, il villaggio di Zurawlow e quello di Szczelatyn vengono tapezzati da manifesti targati Chevron in cui si spiega alla popolazione che la frantumazione idraulica (fracking) è un «metodo sicuro che non reca danni all’ambiente». Non la pensano così i comitati cittadini che nel frattempo si sono formati per fronteggiare la «minaccia» delle trivellazioni. Infatti, a dispetto delle rassicurazioni fornite da John Claussen, a capo di Chevron Polska, che aveva invitato tutti al dialogo e al confronto, il 13 marzo del 2012 alle 6 del mattino, i residenti della zona vedono presentarsi dei subappaltatori carichi di attrezzatura pronti a recintare e trivellare. Una forzatura bella e buona, visto che non erano in possesso delle autorizzazioni necessarie.

È stata questa la goccia che ha dato il via alle proteste.

Sono in 150 che si danno il cambio per presidiare notte e giorno l’area. Una protesta dal basso che in poco tempo è riuscita a coinvolgere attivisti da tutta la Polonia e oltre. A sostegno delle comunità locali sono state organizzate «azioni di solidarietà» non solo a Varsavia, ma anche a Vilnius (Lituania), Francia e Irlanda. Oltretutto, gli attivisti di OccupyChevron non sono soli. A dargli manforte in questi mesi un continuo andare e venire di supporter da Repubblica Ceca, Germania, Lituania e perfino dagli Usa.

Anzi, il movimento di protesta polacco è stato fonte di ispirazione per gli attivisti rumeni, che in massa hanno raggiunto nei giorni scorsi il piccolo villaggio di Pugesti, dove la Chevron (manco a dirlo) sta trivellando per estrarre shale gas. Ci sono stati violenti scontri tra i manifestanti e la polizia. Il sindaco di Pugesti (uno dei pochi sostenitori delle trivellazioni) si è detto esterrefatto per la virulenza della protesta: «Da queste parti non si erano mai viste così tante persone a fare danno e alimentare il caos». Il primo cittadino ha puntato il dito contro la Russia di Putin, accusando il Cremlino di finanziare economicamente la protesta. Non sono dello stesso avviso i manifestanti che senza giri di parole gli rinfacciano di essere sul libro paga della Chevron.

Intanto, in Polonia, il gigante americano del gas continua a tirare dritto a colpi di carta bollata e con minacce più o meno velate alle autorità locali di dover pagare pesanti multe se continuano le proteste e le occupazioni. Sullo sfondo resta la «guerra» energetica con la Russia e Gazprom che mantiene il monopolio – e vorrebbe mantenerlo – della fornitura di gas nella Europa dell’Est e non solo.

Interessi americani contro interessi russi, e nel mezzo un’Europa incapace di far fronte comune su un piano energetico capace di affrancare il vecchio continente dal monopolista russo e contemporaneamente dalle mire dei colossi a stelle e strisce.