Il 2021 si chiude con una sostanziale stagnazione del mercato del lavoro. I dati Istat su dicembre certificano un aumento sul dicembre 2020 di 540mila unità, trainato soprattutto dai dipendenti a termine (+434mila, +16,4%). Il tasso di disoccupazione scende al 9,0% nel complesso (-0,1 punti) e al 26,8% tra i giovani 15-24 anni (-0,7 punti), rispetto al mese precedente. L’occupazione femminile sale al 50,5%.
Rispetto al periodo pre-pandemia (febbraio 2020), il tasso di occupazione è tornato allo stesso livello (59,0%),
Nell’ultimo mese, calano i dipendenti permanenti (-7mila) e crescono solo i tempi determinati (+59mila). Continua il calo degli indipendenti (-51 mila), ormai stabilmente sotto la soglia dei 5 milioni.
Ma la qualità della nuova occupazione è precaria. A dicembre, i dipendenti a termine sono 3.077.000, in continua crescita durante tutto il 2021. Su base annua, l’aumento dell’occupazione dipendente è per il 73,5% a termine. E rispetto a febbraio 2020 (pre-pandemico), il numero di occupati è ancora inferiore di -286 mila unità.
«Si conferma la tendenza di una crescita occupazionale molto più bassa di quella del Pil (0,3% contro 6,5% nel 2021). Appare evidente che la precarietà è la scelta quasi assoluta delle imprese. È necessario e urgente decidere che le scelte per gli investimenti pubblici siano orientate ad invertire questa tendenza», commenta Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio della Cgil.
Inoltre neanche nel 2020 si è fermata la migrazione degli italiani oltre confine: il volume delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è stato di circa 160mila unità ma per la riduzione di circa un terzo delle emigrazioni di residenti non italiani. Nel complesso però il numero di espatri dei cittadini italiani (pari a 120.950) è diminuito soltanto dello 0,9%.