«Sì e sì»: forse mai in una conferenza stampa a palazzo Chigi era arrivata una risposta tanto chiara e sintetica. Domanda precisa: «Se Ema e Aifa daranno l’ok, si arriverà all’obbligo vaccinale e alla terza dose». Draghi non tergiversa, non si adegua al lessico politico fatto di mezze parole. La risposta è secca e definitiva, anche se subito dopo Speranza sarà meno tassativo. Ma la scelta già fatta dal governo è quella esplicitata dal premier. Poco prima Draghi era stato altrettanto drastico sul tema dell’estensione del Green pass. «Ci sarà?». «Certamente».

LA LINEA È TRACCIATA. Non solo Draghi non torna indietro di un centimetro: avanza e accelera. Del resto l’intera conferenza è una rivendicazione orgogliosa ma anche sicura e rilassata dei risultati raggiunti: 70% della popolazione già vaccinata, con l’obiettivo di sfondare l’80% entro la fine del mese. Oltre il 90% dei docenti e del personale Ata già vaccinato, in crescita il numero degli studenti, soprattutto tra i 16 e i 18 anni, con almeno la prima dose già ricevuta. La strada è questa e Draghi intende procedere rapidamente. Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre dovrebbero partire sia la terza dose, partendo dai soggetti più fragili per problemi di salute e poi dalle fasce d’età più avanzate, sia l’estensione del Green Pass. Per l’obbligo, invece, tutto dipende dai tempi della certificazione dell’Ema.

Sullo sfondo campeggia la tensione con la Lega per il voto contro il Green pass in commissione. Il Pd strepita. Letta reclama chiarezza, pretende che il leghista esca dall’ambiguità che caratterizza puntualmente la posizione della Lega sulle misure anti Covid. Draghi invece stempera, minimizza. Non solo sfugge alla drammatizzazione: quasi nega l’esistenza del problema. Durissimo con «la violenza particolarmente odiosa e vigliacca» di alcuni No Vax, è invece flautato quando cercano di incalzarlo sui rapporti con la Lega. La squadra di governo lavora bene, se serve un chiarimento «spetta ai partiti ma il governo va avanti».

Comunque le divisioni della Lega, tra l’area dura incarnata negli ultimi giorni da Borghi e quella governista, non sono una rarità: «In tutti i partiti ci sono tre o quattro posizioni ma il capo è Salvini». Il premier ci tiene a far sapere che tra lui e “il capo”, che secondo molte fonti e nonostante la smentita leghista aveva sentito qualche ora prima al telefono mostrandosi sorpreso e irritato per il voto contro il Green pass, va tutto bene. Certo ammette che nel governo ci sono diverse componenti, diversi punti di vista, diverse personalità. Ma lo fa col tono di chi non ritiene il problema troppo serio né grave.

È UNA STRATEGIA PRECISA: nessuna polemica ma anche nessuna concessione. La cabina di regia chiesta da Salvini sul Green pass ci sarà, ma solo per concordare i tempi e i modi dell’estensione dell’obbligo, sulla quale non c’è discussione. Si partirà dal pubblico impiego per poi passare al settore privato, ma solo previo accordo con le parti sociali.

Un incontro tra la ministra degli Interni e il suo predecessore «sarebbe interessante», sempre che la ministra stessa voglia farlo. Ma la difesa di Luciana Lamorgese, nel mirino della Lega da settimane, è granitica: «Per me ha lavorato molto bene e i numeri dell’immigrazione non sono spaventosi. In passato ci sono stati anni molto peggiori». Della richiesta messa in campo dal leghista, quella dei tamponi gratuiti, Draghi non parla anche perché nessuno domanda. Ma palazzo Chigi fa poi filtrare che non c’è strada neppure lì perché sarebbe un disincentivo per le vaccinazioni, dunque in contrasto netto con la strategia del governo. La richiesta in realtà è sensata e giusta, ma se ne parlerà, forse, solo quando l’obbligo renderà superflua l’«incentivazione». Senza alzare la voce e senza minacciare, anzi mimando una situazione di perfetto accordo, Draghi mette così Salvini in un vicolo cieco. Dalla maggioranza, dopo aver puntato sul governo una cifra così alta, non può uscire. Ma, sia pur col massimo rispetto formale, nel concreto le porte sono e resteranno blindate.

SOLO UNA VOLTA Mario Draghi appare contrariato: quando gli chiedono se, date le difficoltà della maggioranza, non mediti di cercare rifugio al Quirinale, dopo Mattarella. La prende male e lo dice: «Trovo la domanda offensiva. Anche nei confronti di Mattarella». «Anche», dunque non solo nei suoi confronti.