Messe cantate, bar e ristoranti, sia statali che privati, adornati da grandi alberi di Natale e con i camerieri regolarmente forniti di un cappellino alla Babbo Natale, molte case che espongono luci e addobbi natalizi. La noche buena, la notte di vigilia, è trascorsa all’Avana con un insolito fervore dedicato anche a celebrare un regalo avuto in anticipo. Quello fatto dal presidente Barack Obama, l’ex nemico riconvertitosi, appunto, in una sorta di collaboratore di Santa Claus, dopo aver annunciato che aveva deciso di smatellare il «muro diplomatico» eretto dagli Usa più di cinquant’anni fa e di mettere in atto una serie di misure per allentare l’embargo economico nei confronti di Cuba.

La fine della lunga inimicizia – una vera e propria guerra economico finanziaria secondo la terminologia ufficiale – porta con se la speranza di condizioni economiche di vita migliori. Dopo tanti anni di «resistenza» e duri sacrifici per «salvaguardare la sovranità e l’indipendenza» dell’isola, i cubani aspirano soprattutto a un pronto e netto miglioramento delle condizioni materiali di vita, salari più alti, negozi e mercati con più prodotti venduti a prezzi inferiori, trasporti che funzionano, migliori comunicazioni e internet alla portata di tutti, aumenti del flusso delle rimesse dagli Usa anche per finanziare piccole imprese private. Le notizie che vengono dall’ «altra sponda» del golfo di Florida alimentano tali speranze. Riferiscono infatti di un interesse a investire in Cuba tanto grande che l’agenzia americana, per riferirne, usa il termine di «tsunami». Unico ostacolo, il permanere del nocciolo dell’embargo, la legge Helms-Burton che non permette, tra l’altro, di investire nella maggiore delle isole del Caribe. Si tratta di una legge federale che può essere cambiata o eliminata solo dal Congresso e che i leader cubano-americani del partito Repubblicano, come il senatore Marco Rubio, promettono di difendere con le unghie e con i denti quando, dal prossimo gennaio, avranno la maggioranza nelle due camere del Parlamento nordamericano.

Da parte sua, il presidente Raúl Castro ha affermato di essere assolutamente ben disposto ad accogliere tutte le proposte della Casa bianca per migliorare le relazioni con l’isola e ridurre l’aggressività dell’embargo Usa. Anche se ha messo in chiaro che Cuba non rinuncerà a mantenere la propria linea politica e a difendere le conquiste del «socialismo cubano». «Non vedo perché dovremmo rifiutare tutto quello che di positivo venga dagli Stati Uniti, soprattutto misure concrete per ridurre il bloqueo (blocco economico)» ha dichiarato Josefina Vidal, responsabile del Dipartimento Stati Uniti del ministero degli Esteri cubano. «Quali saranno i tempi e i modi, lo decideremo dopo che ci verranno comunicati gli atti concreti decisi dagli Stati Uniti per rendere effettive le misure annunciate» dal presidente Obama. Alle critiche e accuse avanzate da molti oppositori del governo cubano, sia all’interno che all’esterno dell’isola, ovvero che le sanzioni contro Cuba sono usate «dai Castro come scusa per giustificare sia i sacrifici e le restrizioni imposti alla popolazione, sia l’inefficienza del governo», Vidal risponde con fermezza: «Smettano la scusa (ovvero l’embargo, ndr) e ci mettano alla prova».

Ed è proprio questa la sensazione che si avverte nelle vie dell’Avana, oltre che nelle conversazioni con conoscenti: la voglia di «mettersi alla prova». Le riforme – «attualizzazione del socialismo cubano», secondo la formula ufficiale – economico sociali varate dal governo hanno aperto la strada all’iniziativa privata: in poco più di un anno i cuentapropistas sono passati da poche decine di migliaia a più di quattrocentomila unità. Nella grande maggioranza si tratta di microimprese nel settore dei servizi, alimentazione e trasporto soprattutto. Ma con le nuove leggi che permettono di formare cooperative non agricole e soprattutto con l’apertura agli investimenti esteri, si mettono le basi per dare maggiore peso al settore produttivo non statale. Le misure annunciate da Obama – aumento del flusso delle rimesse dei cubano-americani, facilitazioni per il turismo Usa – promettono di dare un forte impulso all’iniziativa privata anche nel settore turistico – strategico per Cuba -, nella costruzione-ristrutturazione di case, nella produzione e trasformazione di prodotti agricoli. Inoltre, il presidente nordamericano ha promesso di favorire un libero flusso di informazioni verso l’isola, autorizzando nuove connessioni di telecomunicazione – internet compresa – e permettendo un maggior accesso per i cubani alla tecnologia statunitense.

Misure, queste, attese soprattutto dai giovani cubani ai quali l’isolamento di Cuba e le «conseguenti» restrizioni imposte dal governo vanno sempre più stretti. Tanto che la maggioranza di loro – almeno fino ad oggi- aspira e emigrare dall’isola come unica, seppur radicale, possibilità di rompere questa cappa di immobilismo. Il «regalo» di Obama per loro è una boccata di ossigeno. Il «paradiso» della comunicazione e dell’informatica – ma più in generale della creatività giovanile – non è più solo «terra ostile del capitalismo». Così la pensa Marcelo, ventenne studente di informatica che si barcamena lavorando por cuenta propria – come tecnico di computer ma soprattutto pirateando film, novelas, corsi di lingue ecc. che rivende per pochi pesos convertibili. Nello schermo del suo computer si vede l’immagine di San Lázaro che mette una mano sulla spalla di Obama con una scritta: «Sirve», Obama funziona. Da arcinemco, il presidente americano si sta convertendo in una nuova icona, giovanile e non. San Lázaro- Babalù Ayè è infatti la divinità della santeria (la religione afro-cubana) che tradizionalmente si associa alle guarigioni miracolose, dunque alla speranza di miglioramenti.

«Il discorso con cui Obama ha annunciato la fine del blocco diplomatico è stato non solo più emotivo, ma anche meglio costruito e argomentato di quello di Raúl» sostiene lo scrittore Carlos Emanuel Alvarez. «Obama ha citato Martí, ha parlato in spagnolo – somos todos americanos – ha analizzato il ruolo dei cubani negli Usa». Insomma, era impegnato a convincere, non solo a dare un annuncio, come ha fatto il presidente cubano, presentatosi sugli schermi «in divisa da generale, in un ufficio semioscuro che sembrava un bunker».

Anche nel linguaggio ufficiale sono evidenti i cambiamenti di tono. Nella Mesa redonda – programma televisivo di commento dei fatti salienti e culla dell’«ortodossia fidelista» – dedicata alla fine del muro diplomatico, il presidente Obama è stato più volte indicato non come il leader dell’imperialismo nordamericano o similia, ma come «el vecino», il vicino di casa. Un cambio radicale che ad un certo punto una delle giornaliste che partecipavano si è sentita in dovere di giustificare. «Non si tratta – ha detto – del tradimento nei confronti dei termini usati in precedenza (per indicare Obama, ndr), proprio perché le nostre battaglie degli anni passati hanno permesso di giungere alla situazione attuale». Come dar torto a chi a Cuba parla di un’incipiente «Obamamania».