Nella prima operazione ufficiale via terra delle unità speciali Usa è stato ucciso uno dei leader dello Stato Islamico, il “ministro” Isis del petrolio. L’azione, fa sapere il governo Usa, si è svolta a est della Siria nella notte tra venerdì e sabato: obiettivo Abu Sayyaf, noto come Abu Muhammed al Iraqi, già scampato ad un precedente raid. Stavolta è capitolato. La moglie, Umm Sayyaf è stata fatta prigioniera e condotta in un centro di detenzione Usa in Iraq.

In un comunicato ufficiale il segretario della Difesa Carter ha sottolineato come l’operazione sia avvenuta sotto la direzione del presidente Obama: «Abu Sayyaf era un leader anziano dell’Isis che, tra le altre cose, si occupava di supervisionare le operazioni illecite legate al gas e il petrolio – si legge nel comunicato – Era inoltre coinvolto nelle operazioni militari del gruppo».

La testa di Abu Sayyaf, “manager” del traffico illecito di greggio, era tanto importante da spingere la Casa Bianca ad ordinare un raid terrestre, e non aereo, per timore di non raggiungere lo scopo prefissato.

Le unità speciali Usa hanno confiscato una serie di attrezzatture per la comunicazione, probabilmente usate dal leader per tenersi in contatto con il califfo. Durante l’operazione, sarebbero morti 12 miliziani islamisti, in un territorio sotto il controllo dello Stato Islamico, a Deir Ezzor. Non sotto il controllo del governo siriano che da tempo ha perso autorità nella zona est del paese, nel corridoio che da Raqqa (la “capitale” dello Stato Islamico”) corre verso il confine iracheno e lo supera.

L’operazione via terra Usa non entusiasmerà il presidente Assad, che più volte ha definito eventuali azioni militari non coordinate con Damasco violazioni della sovranità siriana. Tanto da non mancare di sottolineare che i raid aerei della coalizione anti-Isis, cominciati a settembre 2014, erano e sono coordinati ufficiosamente da Washington con Damasco, che ne riceverebbe notifica da Baghdad. Anche stavolta, però, la Casa Bianca nega: l’operazione è stata coordinata con funzionari iracheni ma «non con il regime siriano», ha commentato Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale.

Una preda niente male per un Obama schiacciato dalle mancate vittorie in Medio Oriente. Washington gongola: il colpo inferto allo Stato Islamico non è da poco. Ma se si va a guardare il quadro complessivo da gioire c’è ben poco. Nonostante il califfo al-Baghdadi sia presumibilmente ferito gravemente, nonostante le cocenti sconfitte a Kobane, in Siria, e a Tikrit, in Iraq, il califfato avanza mettendo allo scoperto le mancanze della strategia Usa.

Così è caduta Ramadi, ormai per il 90% in mano islamista dopo settimane di scontri tra esercito iracheno e Isis. A Ramadi, capoluogo della caldissima provincia sunnita di Anbar, Washington ha imposto l’arretramento delle milizie sciite irachene coordinate dall’Iran, che avevano permesso la riconquista di Tikrit. Stavolta il diktat di Obama, che punta a impedire un’eccessivo rafforzamento iraniano in Iraq, ha avuto la meglio: gli sciiti hanno abbandonato la prima linea, lasciando la guida della battaglia al debole esercito governativo.

Un grave errore strategico: per sostituire le efficaci milizie sciite, Obama ha chiesto a Baghdad di mandare i volontari sunniti, addestrati dal governo centrale. Ma, male armate e poco numerose, le milizie sunnite non sono state in grado di frenare la potente offensiva islamista: tra giovedì e venerdì l’Isis ha lanciato una serie di attacchi contro il centro della città e preso il controllo del quartier generale governativo. Alcuni edifici sono stati dati alle fiamme, mentre la bandiera nera del califfo veniva issata sul compound. Almeno 50 poliziotti sono stati uccisi, decine i civili massacrati. E la controffensiva non è finita: l’Isis ha preso le vicine città di Baghdadi e Karmah, fondamentali perché via di transito delle armi ai soldati iracheni posti a protezione della diga di Haditha.

Washington ha subito annunciato l’invio di armi al governo iracheno e Baghdad l’invio di rinforzi nella provincia sunnita, per impedire la perdita definitiva della città. Ma – seppure il generale Usa Weidley, comandante dell’operazione anti-Isis nel paese, incredibilmente insista nel dire che la situazione in città resta positiva – insieme a Ramadi crolla la strategia Usa: dopo la riconquista di Tikrit, Anbar avrebbe dovuto essere il trampolino di lancio verso la vera preda di Baghdad, la città di Mosul. Ora si riparte da zero.