Obama, dacci il Cinque. Con un efficace slogan che allude a un gesto di amicizia, si svolge oggi a Washington, davanti alla Casa bianca, la manifestazione internazionale per la liberazione dei cinque agenti cubani, condannati a lunghissime pene e detenuti negli Stati uniti dal 1998: i Cinque, appunto.

Cinque come le dita di una mano, che si sporge dal manifesto con il quale oltre 30 paesi hanno chiesto a Obama di rispondere «battendo il cinque» e rimandando a casa Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero, Fernando González e René González. Quest’ultimo, condannato a 15 anni, ha avuto accesso alle misure alternative alla detenzione nell’ottobre del 2011 con l’obbligo di permanere negli Usa in libertà vigilata per tre anni. Recentemente, per la morte del padre, ha potuto recarsi a Cuba, dove poi ha ottenuto di rimanere, ma solo rinunciando alla cittadinanza statunitense.

González è intervenuto da Cuba via radio alla conferenza stampa di apertura della campagna «cinque giorni per i Cinque», che si è svolta a Washington giovedì. Presenti molte personalità come Danny Glover, Angela Davis o Ignacio Ramonet. Intellettuali, artisti, politici che in questi anni hanno fatto conoscerere la storia dei Cinque, condannati per aver cercato di prevenire gli attentati programmati a Miami dalle reti anticastriste con la complicità dei governi nordamericani. Spedizioni sistematiche che hanno provocato la morte di 3478 cubani e la mutilazione di altri 2099. E tuttavia, anche quest’anno, il rapporto prodotto dal Dipartimento di stato degli Stati uniti include Cuba fra i paesi che «patrocinano il terrorismo». E poco importa se la piccola isola non invia nel mondo droni ma medici.

Il pre-stampato di Washington è sempre lo stesso: la permanenza sul territorio di militanti separatisti baschi appartenenti all’Eta e di «vincoli politici» con la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc). Poco importa che a distribuire etichette e patentini sia quello stesso governo che mantiene a pochi passi il lager di Guantanamo, e offre riparo e tutela a dittatori e mercenari.

La vicenda processuale dei Cinque è viziata dal pregiudizio fin dagli esordi, ha scontato il clima torbido e minaccioso creato dall’anticastrismo di Miami, imprescindibile bacino elettorale per qualsivoglia governo Usa. E non ha lasciato spazio alcuno ai numerosi ricorsi della difesa. Ora non resta che l’indulto del presidente, come da anni chiedono i comitati per la liberazione dei Cinque, attivi in tutto il mondo.

La manifestazione di oggi è anche l’occasione per chiedere la fine del micidiale blocco economico, imposto dagli Stati uniti a Cuba all’indomani della rivoluzione. Alla mobilitazione partecipa anche una delegazione di 36 cubani di Miami, che in questi anni hanno mantenuto aperto il dialogo con il governo del proprio paese, pur avanzando critiche, e che hanno subito a loro volta minacce e attentati. Di loro e del contesto in cui è maturata la decisione di Fidel Castro di organizzare una rete di intelligence a Miami parla il best seller del brasiliano Fernando Morais, Los ultimos soldados de la Guerra Frias.

Giovedì, Cuba ha espresso anche solidarietà al portoricano Oscar Lopez Rivera, prigioniero da 32 anni nelle carceri Usa per la sua attività anticolonialista, compagno di cella di Fernando González.