Le nuove norme sull’inquinamento industriale annunciate ieri mirano a diminuire le emissioni di Co2, del 30% entro il 2030, un traguardo ambizioso (anche se nel calcolo comprende il 10% di riduzione già ottenuto dal 2005) che segna una prima vera iniziativa politica per affrontare il mutamento climatico da parte del secondo paese inquinatore mondiale, dopo la Cina.

Mentre molti singoli Stati hanno normative atte a limitare l’emissione dei gas serra, non ci sono finora stati in America limiti federali sulle emissioni, il 40% delle quali deriva dal carbone bruciato in centrali termiche inefficienti. Le nuove regole che verrebbero pienamente implementate nell’arco dei prossimi due anni, richiederebbero ad ogni stato di raggiungere gli obbiettivi ottimizzando l’efficenza e promuovendo energie rinnovabili. L’annuncio di ieri è stato ampiamente lodato da gruppi ambientalisti e Al Gore l’ha definito «il passo più importante per combattere la crisi climatica nella storia del paese». Immediate e negative le reazioni delle associazioni di settore che hanno già annunciato azioni legali contro le nuove norme. Da mesi, in previsione dell’annuncio, i repubblicani stanno denunciando la «war on coal» di Obama accusandolo di mettere a repentaglio «milioni di posti di lavoro» nel settore del carbone che come principale inquinatore è nella sostanza quello preso di mira dalle nuove regole. Un rapporto della Us Chamber of Commerce strategicamente pubblicato la scorsa settimana, sostiene che le nuove leggi potrebbero costare perdite di oltre 50 miliardi di dollari al Pil.

Anche le stime dell’amministrazione ammettono un costo potenziale, seppur più vicino ai 10 miliardi di dollari, ma l’Epa, l’ente per la tutela ambientale responsabile per le regole, sostiene che ogni costo verrebbe bilanciato dai risparmi della maggiore efficenza e dalla riduzione degli effetti nocivi dell’inquinamento sulla salute pubblica. Obama ha ricordato che il costo dell’inquinamento da carbonio «si misura in morti premature, 100.000 attacchi d’asma e 2.100 infarti ogni anno». «Come presidente e come padre», ha aggiunto, «mi rifiuto di condannare i nostri figli a vivere su un pianeta oltre ogni rimedio».

Il presidente ha contro anche interessi di Wall street ed esponenti democratici di Stati produttori di carbone, soprattutto in un anno elettorale come questo. Sulla questione ambientale Obama ha aperto un nuovo fronte politico assai spinoso. Un campo minato in cui lo aspettano al varco lobby dell’energia, «negazionsti climatici» ela coalizione che, come sulla riforma della previdenza, ha fatto dell’ostruzionismo antiobamiano ad oltranza un articolo di fede. Per ammorbidire l’opposizione Obama fa perno sull’attuale boom petrolifero e soprattutto del gas naturale (in particolare lo shale gas estratto recentemente dalle argille dell’Alberta, Montana e Nord Dakota) che ha trasformato Usa e Canada in esportatori mondiali di energia. Obama punta sul gas per ripulire il carbone – una scelta che lo obbliga però a chiudere due occhi sulfracking, la tecnica di estrazione a pressione a rischio di inquinamento della falde acquifere.

L’anno scorso Obama aveva rimandato fino a dopo le elezioni di novembre la decisione sull’oleodotto Keystone che dovrebbe unire i giacimenti bituminosi del nord alle raffinerie del Golfo del Messico completando una nuova infrastruttura degli idrocarburi. L’oleodotto è contestato dagli ambientalisti che lo considerano un regalo al complesso «paleoenergetico» e un freno allo sviluppo di energie alternative.

Anche con le nuove regole carbone e gas naturale sono destinate a rimanere le principali fonti di energie fornendo ognuno il 30% del fabbisogno. Ma il ruolo del carbone verrebbe ridimensionato. Los Angeles ha varato già due anni fa una moratoria sull’elettricità prodotta col carbone. I nuovi limiti federali potrebbero ora portare al ridimensionamento o la chiusura di centrali come il Navajo Generating Station che da Page, Arizona, vomita nell’aria dense nuvole di fumo nero ricoprendo il vicino Grand Canyon di una coltre di smog. Obama ha detto che le norme potranno servire da esempio per altri paesi e rafforzare la mano degli Stati Uniti nei prossimi negoziati sui tratti internazionali. Forse la domanda giusta è se serviranno da incentivo per gli Usa a sottoscrivere, nel momento in cui sguazzano in nuove scorte di gas e petrolio,trattati a cui si sono finora notoriamente sottratti.