O i rimborsi o la vita. L’attacco dei 5 Stelle per evitare il crollo
Le dimissioni del responsabile dell'Istruzione Grillini scatenati contro Fioramonti accusato di non aver versato il dovuto. L’ex ministro isolato, ora la scissione è più difficile. ella scelta del successore Conte deve evitare nuove tensioni in un mese difficilissimo per il governo. Stefano Buffagni: sputano ogni giorno contro chi si fa il mazzo, ma se esce dal Movimento, Fioramonti deve dimettersi da deputato.
Le dimissioni del responsabile dell'Istruzione Grillini scatenati contro Fioramonti accusato di non aver versato il dovuto. L’ex ministro isolato, ora la scissione è più difficile. ella scelta del successore Conte deve evitare nuove tensioni in un mese difficilissimo per il governo. Stefano Buffagni: sputano ogni giorno contro chi si fa il mazzo, ma se esce dal Movimento, Fioramonti deve dimettersi da deputato.
Il tiro al bersaglio prosegue. Nel M5S il fuoco contro l’ormai ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti è ad alzo zero e se alcun critiche prendono di mira la scelta politica la maggior parte delle frecciate è di più infimo livello. Questione di quattrini. Tentativo di non sganciare i rimborsi. Dagli spalti del Senato, Gianluigi Paragone, anche lui dissidente ma di sponda opposta, squaderna su Fb i nomi dei pentastellati, parlamentari e ministri, il cui piatto piange a dirotto. L’accusato replica, nega l’addebito, assicura di aver versato, per colpa di «un sistema farraginoso», nel conto del bilancio dello Stato e di voler in futuro devolvere i rimborsi su quello del Tecnopolo Mediterraneo, centro di ricerca su Taranto da lui stesso fondato. Il Mise si affretta a chiarire che la buona intenzione è al momento impraticabile, non esistendo alcun conto Tecnopolo.
IL CLIMA LO SINTETIZZA Stefano Buffagni: «Sputano ogni giorno contro chi si fa il mazzo. Ma se esce dal Movimento, Fioramonti deve dimettersi da deputato». Il massacro mediatico mira a un risultato preciso: arginare la possibile emorragia alla Camera, silurare in partenza il nuovo gruppo al quale Fioramonti starebbe pensando di dar vita. Strategia efficace. Giorgio Trizzino, indicato da settimane come il capofila dei deputati decisi a dar vita se non a un gruppo almeno a una corrente interna ai 5S di marchio «contiano», prende le distanze: «Non ci si dimette senza accurata ponderazione delle conseguenze sulla stabilità del governo. Ancor meno spiegabili le dimissioni se collegate al preannunciato distacco dal Movimento che lo ha eletto». Fioramonti è isolato e il più irritato dalla sua scelta, che nei giorni scorsi aveva provato in ogni modo a evitare, è proprio quel Giuseppe Conte nel cui nome il nuovo gruppo avrebbe dovuto nascere. Per ora quella che sarebbe stata a tutti gli effetti una prima scissione dei 5S, con effetti devastanti, pare evitata.
PER CONTE SI TRATTA ora di chiudere in fretta la vicenda con la nomina di un nuovo ministro. Il tempo stringe. Gennaio sarà un mese difficilissimo, il premier ci deve arrivare senza posti vacanti in squadra: il successore di Fioramonti deve avere un nome entro il 6 gennaio. Sul fatto che il posto spetti a un pentastellato non ci sono dubbi e in pole position c’è la sottosegretaria Lucia Azzolina, 37 anni, preside, buona conoscitrice della materia. Non a tutti, nel Movimento e nella maggioranza, quel nome però piace. È infatti una sostenitrice strenua della meritocrazia, su posizioni molto vicine a quelle della viceministra Anna Ascani, renziana rimasta nel Pd. Di alternative, nelle file pentastellate, ce ne sarebbero almeno tre: il presidente dell’Antimafia Morra, Salvatore Giuliano, già sottosegretario all’Istruzione nel precedente governo Conte e la senatrice Michela Montevecchi, anche lei insegnante e attualmente vicepresidente della commissione Istruzione del Senato. In teoria sarebbero tutti in lizza ma per tutti c’è un handicap: non sono di stretta osservanza «dimaiesca», a differenza di Lucia Azzolina.
LA DECISIONE, ha confermato ieri il Pd, spetta tutta e solo a Conte. Ma il premier dovrà muoversi con perizia e cautela, perché non può permettersi di incamminarsi sul percorso di guerra che lo aspetta con ulteriori divisioni e nuovi malumori alle spalle. Per il 7 gennaio dovrà aver chiuso la partita della prescrizione, con una mediazione fra Pd e Movimento 5 Stelle che ancora non si profila. Subito dopo dovrà svolgere una missione altrettanto ardua sul fronte delle concessioni autostradali o la conversione del Milleproroghe sarà a massimo rischio. Senza dimenticare due capitoli delicatissimi ancora aperti: le autonomie e l’Ilva.
Il 12 gennaio, salvo ripensamenti di qualche senatore, verrà indetto il referendum sulla riforma costituzionale. Pochi giorni dopo la Consulta si esprimerà sul referendum elettorale della Lega. Nell’improbabile ma non impossibile eventualità che il quesito sia ammesso la spinta verso le elezioni subito sarà impetuosa. Poi, il 20 gennaio, arriverà il voto della giunta sull’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini e il 26 si apriranno le urne in Emilia-Romagna e Calabria.
Una sfida del genere, con un seggio vacante al governo o con troppi malumori alle spalle, il premier proprio non può affrontarla.
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