Almeno quattro persone, tra cui due donne, sono rimaste uccise ieri e 27 ferite nell’esplosione di un’autobomba condotta da un attentatore suicida in via Arid, nel quartiere di Haret Harek, nella zona meridionale e più popolare di Beirut, roccaforte del movimento sciita Hezbollah. L’attentato, quinto attentato contro gli sciiti a partire da agosto e il secondo nel mese di gennaio, è stato rivendicato dal “Jabhat an Nusra”, gruppo qaedista operativo in Siria. L’attentato ha voluto colpire Hezbollah – alleato sul campo di battaglia della Siria di Bashar Assad – alla vigilia dell’apertura in Svizzera di “Ginevra II”, la conferenza internazionale finalizzata, almeno sulla carta, a trovare una soluzione diplomatica al conflitto civile siriano. Ma con ogni probabilità è stato anche un tentativo di far deragliare il processo politico interno che negli ultimi giorni ha visto storici avversari come Hezbollah e il potente leader sunnita ed ex premier Saad Hariri, trovare un’intesa per dare un governo al Paese, a quasi un anno dalla crisi politica cominciata con le dimissioni del primo ministro Najib Miqati. Le parti hanno accettato la formula di un governo di unità nazionale secondo la tripartizione “8-8-8” degli incarichi ministeriali. Ma si discute ancora, l’intesa è fragile. Resta da risolvere la questione del trinomio «Popolo, Esercito, Resistenza» che Hezbollah vorrebbe nella dichiarazione costitutiva anche del nuovo governo, per rinnovare la legittimazione della sua guerriglia. Hariri e i suoi alleati si oppongono anche se questa dichiarazione fu inserita per la prima volta nel 2009 proprio dal leader sunnita per ottenere la fiducia al suo governo e poi ribadita nel 2011 dal suo successore e premier uscente Najib Miqati. L’obiettivo di Hariri e della destra cristiana sua alleata è quello di disarmare Hezbollah e di costringerlo a ritirare i suoi combattenti dalla Siria.