Mentre abbondano e, uno dietro l’altro, a raffica, vengono rilasciati i decreti di compatibilità ambientale per nuovi progetti di ricerca ed estrazione di idrocarburi, il premier Matteo Renzi dà mandato al ministero dello Sviluppo economico di Federica Guidi e a quello dell’Ambiente di Gian Luca Galletti di correggere proprio la normativa che regola il rilascio dei permessi petroliferi. Una voce? Più d’una voce… Renzi ha deciso di far rivedere il contestato Sblocca Italia. E questo dinanzi allo spettro del referendum antitrivelle proposto da dieci regioni – Basilicata, Abruzzo, Marche, Campania, Puglia, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise – e i cui sei quesiti, con due ordinanze del 26 novembre scorso, sono stati accolti e ritenuti regolari dalla Corte di Cassazione.

Su di essi si esprimerà la Corte Costituzionale il prossimo 13 gennaio. Il referendum è dei «No triv» e aggrega oltre 200 associazioni, ma anche i più disparati gruppi politici (dal M5s, alla sinistra, a pezzi di Lega). Ed è spalleggiato dalla Chiesa. Inoltre spacca il Partito democratico: tra le Regioni che si sono mobilitate a favore della consultazione popolare ce ne sono diverse a guida Pd.

Il governo, che finora non ha tenuto in alcuna considerazione le proteste di massa contro le estrazioni in mare e in terra, ma soprattutto contro quelle a ridosso delle coste e delle aree protette, adesso avrebbe fretta di rivedere lo Sblocca Italia e di arginare così, in qualche maniera, l’inquietudine che, sul filo del greggio, corre da nord a sud del martoriato Stivale regalato alle multinazionali.

E’ soprattutto nel centro e nel meridione – dove si stanno cercando di difendere le risorse naturalistiche e paesaggistiche, talvolta uniche fonti di reddito – che la questione è più sentita. Ma il dissapore serpeggia ovunque: dal Po al Canale di Sicilia. «Il movimento antipetrolio – spiega Enzo Gagliano, dei “No triv” – è in grado di aggregare forze che hanno sempre faticato a lavorare assieme. Il no al petrolio è diventato il collante tra diverse realtà eterogenee tra loro e questo è fonte di potenziale pericolo per Renzi, che potrebbe trovarsi contro un fronte molto ampio e trasversale e riscoprirsi minoranza nel Paese».

«La via referendaria – rintuzza Enzo Di Salvatore, abruzzese, autore dei quesiti referendari – è l’unica che possa raggiungere nel breve termine l’obiettivo sia di fermare nuovi progetti, sia di contenere e ridimensionare il ruolo delle energie fossili nel mix energetico nazionale. E se anche le modifiche normative venissero effettuate in buona fede, bisognerebbe tener conto della maggiore efficacia del referendum.

I divieti introdotti dal Decreto Prestigiacomo, sugli impianti petroliferi in mare, non sono stati forse successivamente rimossi dall’articolo 35 comma 1 del Decreto sviluppo? Quindi il cambiamento per via legislativa delle norme può essere transitoria, mentre, per mezzo del referendum abrogativo, è possibile cancellarle stabilmente dall’ordinamento». Quindi, con o senza rimedi o pentimenti renziani, il referendum tira dritto. «E – viene fatto presente in un documento “No triv” – nessuno è legittimato a “mediare” o a dialogare con un governo che più di ogni altro ha dimostrato fredda determinazione nel portare a compimento il contenuto fossile della Strategia energetica nazionale e che si appresta ad assestare un colpo mortale al coinvolgimento delle comunità locali e delle Regioni nelle scelte strategiche che determinano il futuro dei territori e del Paese». Il 9 dicembre a Roma «verranno messi a fuoco i principali aspetti organizzativi e discusse le prime soluzioni che dovranno portare al voto di primavera».

Ma cosa vogliono i “No triv”? «Abrogazione delle norme sull’attribuzione del carattere di interesse strategico, di indifferibilità ed urgenza delle opere stesse, nonché del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in esse ricompresi»; «divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine», e poi che i progetti vengano approvati d’intesa con le Regioni, che sono state espropriate, da Renzi e company, di ogni diritto a salvaguardare i propri territori.