Dopo il terrore dell’attentato alle moschee di Christchurch, il governo neozelandse decide di fare sul serio sulla riforma del sistema di compravendita di armi nel paese. La premier Jacinda Ardern è molto chiara sul punto e dichiara che il suo gabinetto «è completamente unito» nella decisione di cambiare le cose. Per tre volte (nel 2005, nel 2012 e nel 2017) il parlamento aveva provato a modificare la legge, ma, complice la pressione delle lobby e la larga diffusione della caccia in Nuova Zelanda, tutti i tentativi sono andati a vuoto. Questa volta il clima sembra decisamente diverso, tant’è vero che persino il vicepremier e capo del partito di estrema destra New Zealand First, Winston Peters (storicamente contrario a ogni revisione della materia) appare d’accordo: «Il nostro mondo è cambiato per sempre – ha detto – e così faranno anche le nostre leggi».

La strage compiuta dal suprematista bianco Brenton Tarrant, con cinquanta vittime e quarantanove feriti, ha probabilmente cambiato per sempre il dibattito politico di un paese in cui su 4.6 milioni di abitanti le armi da fuoco sono 1.2 milioni. La legge sulla vendita e il possesso di armi in vigore è di quelle a maglie larghissime: l’età minima per possedere una pistola è addirittura di sedici anni e già a diciotto si possono acquistare fucili semiautomatici di tipo militare, per le quali serve una licenza grazie alla quale poi si può comprare di tutto.

Ardern appare intenzionata a tirare dritto, anche se il percorso della riforma non appare per nulla facile e, al di là dei buoni propositi, di concreto ancora non c’è nulla.

«Questi non sono territori legislativi semplici – ha detto la premier ai cronisti -, ci prenderemo il tempo per farlo nel modo migliore». Si parla di un paio di settimane per produrre una prima bozza della legge.

Intanto, in una conferenza stampa, ha parlato il titolare del negozio che ha venduto quattro fucili e le munizioni a Tarrant, David Tipple della Gun City. «Non abbiamo rilevato nulla di straordinario in lui – ha spiegato in tono molto formale –, si è trattato di una transazione commerciale per corrispondenza online verificata anche dalla polizia». Tipple, però, nega che quei fucili siano gli stessi utilizzati per la strage delle moschee, e prova a difendere il proprio business dalle annunciate riforme: «Tarrant ha scritto nel suo manifesto che il suo scopo nell’usare le armi era quello di dividerci, se gli permettiamo di cambiare i nostri comportamenti, ha vinto lui». Gun City, tra le altre cose, sta ricevendo molte critiche per non aver rimosso un cartellone pubblicitario in cui si vede un padre che aiuta i propri bambini a fare pratica con il fucile. La concorrenza – cioè il sito di aste TradeMe – sta comunque tenendo un atteggiamento opposto, e ha vietato sul proprio portale la compravendita delle armi e dei loro accessori.

Mentre il dibattito va avanti e l’emergenza alle frontiere e sui voli non è ancora finita, le indagini su Tarrant proseguono. Il commissario di polizia di Christchurch Mike Bush ha dichiarato di essere certo che il suprematista sia stato l’unico a sparare, anche se non si può escludere che abbia ricevuto in qualche modo del supporto logistico da alcuni complici. Così si spiegano gli altri tre arresti di venerdì scorso, anche se, sempre a quanto dichiara la polizia, sui tre al momento non pendono accuse relative alla strage.

Tarrant dovrà presentarsi in aula il prossimo 5 aprile e giusto ieri ha annunciato di avere intenzione di difendersi da solo. Richard Peters, l’avvocato d’ufficio che lo ha difeso sabato nella prima udienza, ha accolto la notizia con sorpresa e ha dichiarato che l’attentatore gli apparso lucido e mentalmente stabile, benché fermo sulle proprie convinzioni fanatiche e razziste. L’annunciata autodifesa di Tarrant ha lasciato perplessa l’opinione pubblica del paese: sul New Zealand Herald, infatti, ci si domanda se il processo non diverrà una sorta di show che consentirà al terrorista di continuare la propria opera di propaganda anche sotto al naso delle istituzioni. In realtà questa partita è già cominciata con il famigerato ok fatto con le dita da Tarrant davanti ai giudici: un gesto che l’alt-right vorrebbe venisse identificato come saluto dei suprematisti bianchi.