Il Brasile è stato scosso da proteste nelle recenti settimane. All’inizio, decine di migliaia di persone sono scese in strada nel paese per protestare contro gli aumenti del biglietto dell’autobus e della metropolitana e per reclamare trasporto pubblico gratuito. Centinaia di migliaia di persone da molte settimane marciano sulle strade di Sao Paulo e Rio de Janeiro e in altre venti città. A Brasilia, la capitale, i manifestanti hanno occupato il parlamento, sebbene abbiano lasciato l’area pacificamente dopo poco tempo.
Invece che mettere in fuga la gente, la reazione pesante della polizia ha contribuito a fomentare la crisi. (…) La violenza della polizia è un problema strutturale in Brasile. Ma il fatto che il Brasile stia ospitando la Confederations Cup, e perciò sia preoccupata per la sua immagine internazionale e si trovi sotto norme straordinarie concordate con la Fifa, ha reso la situazione ancora peggiore. Le proteste contro la violazione dei diritti umani e il cattivo uso di fondi pubblici nella preparazione della Coppa del Mondo 2014 e le Olimpiadi del 2016 sono state violentemente represse.

Richieste qualitative e quantitative

La reazione del governo alle proteste ha intensificato la rabbia dei dimostranti e ha focalizzato l’attenzione su un numero di diffusi e relativamente indipendenti motivi di risentimento. Ci sono stati due tipi di lotte in Brasile negli ultimi anni. Da un lato, le popolazioni indigene negli angoli remoti del paese hanno combattuto contro l’agrobusiness e grandi progetti governativi come il Belo Monte, mentre i poveri della città hanno resistito alla speculazione edilizia.
A protestare sono quelli che non hanno beneficiato della rapida crescita del Brasile negli ultimi anni: sono le vittime di ciò che potremmo definire uno sviluppo quantitativo. Da un altro lato, molti brasiliani che vivono in città sono insorti su questioni come il trasporto pubblico, le piste ciclabili, l’ambiente, la proprietà intellettuale, i diritti Lgbt: battaglie sulla qualità dello sviluppo.
Se questi due tipi di lotte coinvolgono elettori molto differenti, le battaglie in sé non sono slegate. In entrambi i casi, la risposta classica del governo alle lamentele dei cittadini è stata di respingerle come particolarismi, a fronte della crescita economica del Brasile e dei progetti di redistribuzione della ricchezza, ignorando la loro universalità.
Tali richieste qualitative sono universali in quanto, in definitiva, riguardano nuovi processi comuni e nuovi diritti. Sebbene a protestare per il trasporto pubblico siano stati in maggioranza giovani, istruiti e metropolitani, i sondaggi indicano che essi hanno il sostegno popolare. Nello stesso tempo, le pretese di universalità del governo appaiono dubbie quando si vedono i gruppi più marginalizzati del Brasile, come le popolazioni indigene e gli abitanti delle favelas, lasciare le loro case, i loro mezzi di sostentamento e alcune volte le loro vite mentre vengono accumulate fortune private.
Inoltre, non è difficile vedere le connessioni tra le comunità povere colpite dall’industria del petrolio, l’aumento dei sussidi governativi alle automobili private e i disinvestimenti nei trasporti pubblici; o fra l’erosione dello spazio pubblico e i progetti di «rigenerazione urbana» sollecitati dagli eventi che il paese è candidato ad ospitare nel 2014 e nel 2016. Il potenziale per una nuova esplosiva forza sociale nel panorama politico brasiliano può risiedere nella capacità di convertire queste connessioni in vere e proprie alleanze, che riuniscano l’esclusione quantitativa e il malessere qualitativo. Se questo sembra una perfetta tempesta politica è perché la durezza e brutalità della risposta dello Stato stanno fungendo da catalizzatore per diversi motivi di malessere che non trovano risposta adeguata.
Da ultimo, se c’è qualcosa che riguarda le proteste, è la mancanza di comprensione e di sensibilità: il rifiuto dei governi locali di negoziare con chi protesta, la militarizzazione controllata dal governo centrale, una classe politica generalmente ritenuta corrotta e indifferente, grandi eventi come i Mondiali e le Olimpiadi che stanno – legalmente o illegalmente – riempendo le tasche di pochi, uno Stato con miseri servizi per l’istruzione di base e la salute, e un orribile primato nella violenza contro i cittadini.
Le proteste sono rivolte, forse in maniera speciale, contro il Partito dei lavoratori (Pt), che era emerso dalle lotte sociali del Brasile e aveva cavalcato grandi speranze di cambiamento. Sempre più il Pt si è adeguato a un sistema politico autoreferenziale e ha sviluppato un’attitudine che sembra affermare che, finché i livelli di vita continuano a migliorare, il governo è al di sopra di ogni critica.

Quale «riduzione» della povertà

Ora, preoccupato della qualità, l’argomentazione del governo è ferma sulla riduzione quantitativa della povertà: per superare gli ostacoli bisogna essere oggettivamente contro gli interessi di chi è povero. Quando il significato dello sviluppo è schiacciato dalla crescita economica, la misura del successo si riduce esclusivamente a indicatori come il Pil o il numero totale di studenti universitari, e l’obiettivo principale diventa l’aumento dei livelli di consumo, questo sembra contraddire l’idea di un futuro salto qualitativo.
In altre parole, non è vero che tutto va bene man mano che gli standard di vita s’innalzano di livello. La decisione, che risale alla presidenza di Luiz Inacio Lula da Silva, di dare la priorità a settori come l’agrobusiness e l’edilizia ha creato una trappola: la dipendenza da una manciata di gruppi di interesse il cui potere politico è proporzionale al proprio peso economico. Se il piano del PT è creare un’economia a cascata con ricadute positive che funzioni davvero, il successo dipende esclusivamente dal mantenere una rapida crescita, e nell’immediato non è il caso.
Quando l’economia funziona, tutti ne guadagnano: ma quando non funziona, qualcuno deve pagare il conto. Rimane da vedere a chi il governo chiederà sacrifici e se avrà i mezzi per imporli a chi ha potere.
Dall’elezione di Dilma Rousseff a presidente la partecipazione popolare è diminuita. Le negoziazioni hanno luogo nei corridoi dei palazzi di Brasilia e, mentre le élites politiche ed economiche inevitabilmente trovano la loro strada, i movimenti sociali e la base del Pt sono invitati ad adeguarsi e tacere.
Mantenere la coalizione creata da Lula costa un prezzo sempre più alto. Negli ultimi due anni, il governo brasiliano ha ripetutamente lavorato da progressiva copertura per interessi profondamente reazionari, come quelli dei proprietari terrieri e della destra cristiana.
Per decenni, il Pt ha giocato un ruolo importante come canale per nuove richieste e gruppi sociali. Adesso il partito non prende più iniziative per creare nuovi diritti, tende sempre più a chiudere un occhio sugli attacchi a quelli esistenti e ha adottato una linea law and order quando affronta le richieste popolari di cambiamento.
Concentrando lo sviluppo esclusivamente su una crescita quantitativa e sul consumo, il governo rinforza le tendenze che vanno contro un futuro salto qualitativo e rende un disservizio al dibattito pubblico in Brasile.
Lo slogan della campagna di Rousseff nelle passate elezioni era «perché il Brasile vada avanti nel cambiamento». Che è in linea, per un verso, con le proteste in corso: il significato e la possibilità di un ulteriore passo in avanti. I manifestanti non sono contro il governo, nel senso che non vorrebbero rimpiazzarlo con un’opposizione ancora meno popolare. Piuttosto, sono animati da un sentimento crescente che, se questo passo ulteriore debba verificarsi, il Pt possa funzionare come una forza attiva contro di esso.
Anche se molti dichiarano di non essere né per la destra né per la sinistra, ed anche se la corporazione dei media tenta di associarli con l’agenda dell’opposizione, questo è nell’essenza un movimento progressista (oppure meglio, che guarda avanti). Esso cerca di ridefinire lo sviluppo sia come qualitativo che quantitativo e l’inclusione non solo unicamente come distribuzione, ma ridistribuzione di ricchezza e potere. «Questa protesta non è per dei centesimi» recita uno degli slogan ricorrenti, «è per i diritti».
Per il momento, il Pt si è nascosto dietro il suo innegabile successo nel miglioramento degli standard di vita dei brasiliani, con il ricatto che le cose sarebbero andate peggio se l’opposizione fosse tornata al potere.
È una misura qualitativa del successo il fatto che le giovani generazioni del paese, che nei decenni passati si sono preparate ad aspettarsi di più per il loro paese, adesso dicano che non è abbastanza.

* Professore associato e ricercatore al Pucrs, Porto Alegre, dove coordina i gruppi di ricerca Materialismos. È membro del collettivo editoriale di Turbulence