È una scelta tra «diplomazia e guerra». Così il presidente Barack Obama ha definito il voto del Congresso che dovrebbe tenersi nelle prossime settimane sull’intesa nucleare con l’Iran. Per Obama, si tratta del più «forte accordo per la non proliferazione mai negoziato». Il presidente Usa è andato oltre e ha paragonato chi si oppone all’accordo con chi ha sostenuto l’invasione Usa dell’Iraq. «Quella guerra ha rafforzato l’Iran e isolato gli Stati uniti più di ogni altra cosa che abbiamo fatto in precedenza», ha detto Obama. Il Congresso degli Stati uniti sta discutendo dell’accordo sul nucleare iraniano. Ma i malumori dei repubblicani sembrano con ogni probabilità aprire la strada ad una bocciatura dell’intesa di Vienna dello scorso luglio. In questo caso Obama ha pronta la carta del veto per non ostacolare la distensione nei rapporti bilaterali con Tehran.

Eppure il presidente Usa sta facendo di tutto per convincere i repubblicani a non bocciare l’intesa. Il discorso più importante si è svolto ieri all’Università di Washington. Non è un luogo qualunque, qui John Kennedy nel giugno del 1963 tenne il suo discorso noto come «Strategia della pace» nel quale promise che sarebbero stati avviati negoziati con l’Unione sovietica. Ormai è chiaro che dietro l’accordo con Tehran si nasconde un più ampio riavvicinamento tra Washington e Mosca che nei prossimi mesi potrebbero risolvere insieme le crisi in Siria e Ucraina. Pochi giorni fa il Segretario di Stato John Kerry ha incontrato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov in Qatar per discutere del dopo-intesa e ha rassicurato gli alleati del Golfo sugli effetti dell’accordo.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto precedere il discorso di Obama con un discorso video in cui ha ancora una volta criticato l’intesa. «Ci saranno più attacchi e più terrorismo», ha detto. Nelle ore successive all’intesa, raggiunta lo scorso luglio, Netanyahu aveva definito il Piano di Vienna un «errore storico». In realtà l’accordo sembra fin qui aver bilanciato la politica estera statunitense in Medio oriente, schiacciata sul sostegno all’Arabia Saudita. E così in risposta all’intesa, i sauditi hanno subito incontrato il movimento che governa Gaza, Hamas, mentre la Turchia ha annunciato un impegno rafforzato contro lo Stato islamico in Siria (che però tarda a concretizzarsi). Proprio ieri i droni statunitensi hanno lanciato i primi attacchi contro Isis dalla base turca di Incirlik. Ma il via libera all’intesa divide anche i democratici. Tre senatori democratici hanno deciso di appoggiare l’intesa in extremis, Tim Kaine, Barbara Boxer e Bill Nelson. A opporsi senza se e senza ma all’accordo ci sono altri tre irriducibili deputati democratici, Steve Israel, Nina Lowely e Ted Deutch.

Dopo il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, anche l’Italia torna in Iran come conseguenza dell’intesa. I ministri degli Esteri, Paolo Gentiloni, e dello Sviluppo economico, Federica Guidi sono sbarcati nel paese che un tempo vedeva nell’Italia il primo partner commerciale europeo. Erano presenti imprenditori da Eni a Finmeccanica, da Ansaldo Energia a Fincantieri. Gentiloni, che ha invitato il presidente Hassan Rohani in Italia, ha parlato di una «accoglienza straordinaria» negli incontri con l’omologo Javad Zarif e con l’ex presidente Hashemi Rafsanjani. L’Eni ha raggiunto un accordo con Tehran sui crediti per 800 milioni di euro dovuti all’azienda. Il ministro del petrolio, Bijan Zanganeh, ha parlato di nuovi tipi di contratti che faciliteranno le compagnie straniere negli investimenti in Iran.