Ognuno ha il proprio metodo per fronteggiare le difficoltà e quello di Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, passa sempre per la minimizzazione. La sentenza tedesca che pone una seria ipoteca sulla libertà d’azione della Bce? Non c’è problema: «Sono certo che un chiarimento avverrà in tempi rapidi e la sentenza non avrà alcuna conseguenza pratica».

Tanto più che i rilievi dei giudici costituzionali tedeschi «non riguardano in nessun modo il Peep», cioè il programma di acquisti di titoli da parte della Bce in funzione anticrisi che per l’Italia fa la differenza tra la vita e la morte.

Tutto giusto ma come si spiegano allora la reazione che chiamarla piccata è poco della Commissione europea o la levata di scudi dell’M5S per cui «l’operato della Bce non può essere svilito da una sentenza tedesca»? Come si spiegano le preoccupazioni di Cottarelli, secondo cui «l’attacco molto pesante alla Corte di giustizia europea piacerà a chi vuole un’Europa divisa»?

Profezia subito confermata dagli applausi della Lega che coglie al volo il messaggio sovranista lanciato da Karlsruhe e lo esalta: «I tedeschi sì che difendono i loro interessi nazionali».

Entrambi i punti di vista hanno le loro ragioni. Che la Bundesbank decida di uscire dalla Bce giudicando «sproporzionati» gli interventi del Quantitative Easing è ipotesi fantascientifica. Il pesante monito tedesco veicolato dalla sentenza, però, condizionerà nel futuro prossimo le decisioni di quella Bce che ha Christine Lagarde per presidente ma Weidmann, presidente di Bundesbank, per azionista di maggioranza. E non sarà un condizionamento favorevole all’Italia.

Non è l’unica nube addensata sull’orizzonte europeo. Venerdì l’Eurogruppo chiarirà quei «dettagli» della nuova linea di credito del Mes dai quali dipenderà la richiesta o meno del prestito da parte dell’Italia. «L’Italia parteciperà vigilando che i documenti finali siano in linea con l’assenza di condizionalità», tranquillizza Gualtieri. In realtà venerdì all’Eurogruppo saranno sul tavolo anche le proposte olandesi, che vanno in direzione diametralmente opposta: memorandum, controlli e non solo sulla destinazione dei fondi limitati alla spesa sanitaria, soprattutto prestito a breve scadenza, il dettaglio che per l’Italia fa più di ogni altro la differenza.

Se passasse la linea olandese per la maggioranza in Italia quasi non ci sarebbe problema: chiedere il prestito diventerebbe impossibile. Se fosse respinta in blocco la strada per il Mes sarebbe spianata, i 5S essendo ormai di fatto prontissimi ad accettare il prestito «senza condizionalità».

Probabilmente, però, si arriverà a una tipica mediazione e per governo e maggioranza potrebbero essere dolori perché si riaprirebbe il contenzioso sull’opportunità o meno di accedere al prestito.

Pioverebbe sul bagnato. Le divisioni nella maggioranza si moltiplicano a ritmo quotidiano. Il mitico decreto ex aprile continua a slittare. Ieri Conte ha incontrato i sindacati, oggi sarà il turno di aziende ed esercenti. Il varo per oggi è quasi escluso: forse domani. Resta l’incognita sulle nuove norme europee per il sostegno alle aziende ma restano soprattutto i punti di frizione.

Il reddito d’emergenza, prima di tutto. Pd e Iv non lo vogliono, temono che una volta erogato sia impossibile cancellarlo. Insistono per un obolo caritatevole, pardon per un sussidio una tantum.

Nelle pieghe dello scontro la platea si restringe, attualmente dovrebbero essere interessate 800mila persone su 3 milioni, la borsa si sgonfia: da 3 miliardi a uno. Poi ci sono le regolarizzazioni di 600mila immigrati irregolari impiegati nell’agricoltura chiesta da Iv. Il Pd concorda. LeU chiede che la platea sia allargata a colf e badanti. I 5S non ci stanno e assicurano che al momento giusto faranno saltare il tavolo. In alto mare anche il sostegno alle imprese: tutti d’accordo sulla mèta ma non sul percorso, cioè sul come rifinanziare dette imprese.

Qualche punto fermo c’è. La defatigante riunione di lunedì notte ha partorito un incremento dei fondi per la sanità. Saranno 3 miliardi. Ci saranno i tre mesi di affitto pagato per gli esercenti e lo sgravio sulle bollette. Ieri è spuntata l’idea di diminuire l’orario di lavoro a parità di salario.

Ma i punti di divisione, a differenza di quelli su cui si è trovata l’intesa, hanno valenza strategica, non tecnica. Il fianco esposto del governo su cui conta Renzi per far saltare il banco prima dell’estate è tutto qui.