«Scene di lotta di classe a Villa dei Fiori» è il sottotitolo/citazione di questo nuovo disco di Capitan Capitone alias l’incendiario polistrumentista di Portalba, Daniele Sepe, che ormai c’ha preso gusto con la sua ciurma dei Fratelli della Costa, un supergruppo che «arrecoglie» tutta la scena musicale giovanile partenopea, stavolta rapper compresi (come Speaker Cenzou, Shaone e l’enfant prodige Pepp-Oh). Dopo il fortunato debutto sospinto da Le range Fellon, ora viene pubblicato il secondo album, Capitan Capitone e i Parenti della Sposa, sempre realizzato con una campagna di crowdfunding sulla piattaforma produzioni dalbasso.com, distribuito da Mdv/Goodfellas, che mette in scena il matrimonio del bucaniere con una signorina di buona famiglia.

Una occasione tipica per giocherellare con generi e note, assoli viscerali e imitazioni riuscite (esilarante quella dei cantautori anni ’70 in La canzone del padre, aggiornamento dell’opera di Vincente Minnelli, tra i genitori della sposa, radical chic del Vomero e i zozzosi, amici lumpenproletariat e scombinatoni dello sposo, «uagliune semp tutt’ fumati») e ritornelli esagerati, passando con disinvoltura dalla bossa brasiliana al rock elettrico, e poi la canzone d’autore, il jazz, il funk, il punk, il reggae, il rap, la world music. La superband ha un assetto variabile, bighellonando tra il bar di Peppe Spritz e le polpette di Carmine ai Tribunali (tutti raffigurati nel disegno di copertina di Nicola De Simone) arrivata nientepopodimeno che a 69 musicisti (tra i quali Gnut, Roberto Colella, Alessio Sollo, Don Pasta) ma brani frutto di un lavoro collettivo tanto che non sono citati gli autori delle singole canzoni nel booklet del cd.

Così passano in rassegna tutti i momenti classici degli sponsali, dal menù elencato in vernacolo pesante (Sushi e friarelli, la dicotomia dell’universo vesuviano) alle buste di denaro per regalo, fino ai cuochi e addetti alle vettovaglie che mettono del lassativo nella torta nuziale (Camerieri, che s’esprimono con la parlesia per non farsi intendere dai commensali, Na fumèsia è tutt’ chell’ ch’desider’ mò/ ma si me piglj’ na pausa aropp’ chi’o sent’ ‘o Bacò) che portano inevitabile Mal’e funk, mentre la giustificazione ideologica della pirateria, unica forma di contrapposizione sociale possibile (sebbene alquanto lontana dal partito paneuropeo di Julia Reda) prende la strada di un esproprio proletario in El cangrego peluso e non può mancare l’invitato che non riesce a trovare la strada giusta e va a finire in un’altra festa danzante, Lost in Miano, per i tipi di Gino Fastidio. Tra ironia sui comportamenti sociali più diffusi ed espressioni gergali, la consapevolezza dei genitori e il bieco materialismo dei ragazzi, la lotta di classe allo scoglio, seppure parecchio annebbiata e diluita, serpeggia nell’ora di musica divertente e curiosa pompata dalla big band passando da Stella di mare, ballata melodica con un assolo al pianoforte di Stefano Bollani a Ti amerò più forte, la dichiarazione d’amore della sposa del capitano, cantata da Sara Sgueglia, all’inevitabile conclusione da festa popolare con La salterella del Capitone.