Nelle sue parole non c’è neanche un accenno di pietà. Parlando al telefono del naufragio che il 3 ottobre dell’anno scorso costò la vita a 366 migranti al largo di Lampedusa, uno dei trafficanti che organizzarono quel viaggio scrolla le spalle e si lascia andare al più bieco dei fatalismi. «Inshallah! Così ha voluto Allah», dice al suo interlocutore. Solo un incidente di percorso, un affare finito male nel business dei trafficanti di essere umani.

La conversazione è solo una delle circa 3.000 intercettazioni telefoniche compiute dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo che da nove mesi indaga per ricostruire le responsabilità di quella tragedia e che ieri hanno portato all’arresto di cinque persone e all’emissioni di quattro avvisi di garanzia. Tutti gli indagati sono accusati di associazione per delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione e della permanenza clandestina aggravata dal carattere transnazionale e dal sodalizio malavitoso. Secondo l’accusa tutti facevano parte di un network internazionale dedito al traffico di uomini e composto da eritrei, etiopi e sudanesi, di cui avrebbero fatto parte anche alcune «cellule» eritree presenti nel nostro paese con il compito di favorire la permanenza clandestina dei migranti e il loro trasferimento in Nord Europa. Il tutto naturalmente dietro il pagamento di tariffe che, a seconda dei casi e dei «servizi» offerti, potevano variare dai 1.500 ai 10.000 euro, prezzo quest’ultimo che comprendeva anche la fornitura di un passaporto falso. A finire in manette nel corso dei quella che è stata denominata «operazione Glauco» sono Tesfahiweit Woldu nato in Eritrea, 24 anni, Samuel Weldemicael, nato a Segheneyti (Eritrea), 26 anni, Mohammed, Salih nato in Eritrea 24 anni, Matywos Melles, nato a Asmara (Eritrea), 47 anni, Nuredin Atta Wehabrebi, nato ad Asmara (Eritrea), 30 anni. Tutti gli arrestati sono residenti ad Agrigento. Ricercati, invece, Yared Afwerke, eritreo, 24 anni, anche lui residente ad Agrigento, Shamshedin Abkadt, nato a Wukro (Eritrea), 29 anni residente a Milano, Ermies Ghermaye alias Ermiasnato Ghermay, nato in Etiopia e domiciliato a Tripoli (Libia), John Maharay, nato in Sudan e domiciliato a Khartoum (Sudan).

Gli inquirenti hanno ricostruito come l’organizzazione di trafficanti si occupasse di tutto, dal reclutamento degli immigrati a loro trasporto nei punti di imbarco, quasi sempre un porto della Libia, Viaggi durante i quali non mancavano né minacce, né violenze, compresi stupri di gruppo nei confronti delle donne. «Chi parte dall’Eritrea sa che deve pagare almeno due riscatti per arrivare nelle coste siciliane – ha spiegato ieri il capo della Mobile di Palermo Maurizio Calvino che ha eseguito gli arresti insieme al collega di Agrigento -:il primo ad alcune bande di predoni che usano violenza sulle donne. IN questo caso il costo è di circa 1.500 euro. Altri 1.500 servono per imbarcarsi dalla Libia. Poi servono altri 7.000 euro per il passaporto». Viaggi che ai trafficanti pososno fruttare fino a un milione a barcone, e in cui non mancano mai violenze ne confronti dei migranti, che spesso durante il viaggio vengono sequestrati e trattenuti dagli stessi trafficanti in attesa che le famiglie paghino un riscatto prima di essere rilasciati.