Giuseppe Conte, salvo quasi impossibili sorprese, sarà presidente incaricato e poi premier. L’incarico, contrariamente alle aspettative, non arriverà però oggi. Ci vorranno ancora 24 ore. Sergio Mattarella ha convocato per stamattina, a sorpresa, i presidenti della camere. In parte perché, dopo averli coinvolti negli incarichi esplorativi, sarebbe stato «irriguardoso» assegnare l’incarico senza averli prima consultati. In realtà si tratta soprattutto di un messaggio simbolico preciso.

IL PRESIDENTE NON HA intenzione di avallare la scelta dei due leader come se il suo compito fosse solo quello di eseguire e controfirmare. Era quindi nell’ordine delle cose che, dopo i giorni di trattative tra i partiti di maggioranza, si prendesse a propria volta del tempo, una «pausa di riflessione» che non sembra però implicare seri dubbi sull’incarico per il giurista pugliese. E’ però evidente che, ribadendo anche così l’intenzione di esercitare in pieno i propri poteri, il capo dello Stato si prepara a interventi che potrebbero rivelarsi molto più determinati in materia di nomina dei ministri e anche di presentazione del programma di governo alle Camere. Una cosa è un contratto privato tra due partiti. Tutt’altra la presentazione ufficiale di un programma di governo, nel quale dovranno essere specificati anche i tempi delle riforme che la maggioranza ha in mente, di fronte al Parlamento. Ma questa è una partita che inizierà davvero solo dopo il conferimento dell’incarico.

IERI I DUE INCONTRI con la delegazione dei 5S guidata da Di Maio e poi con quella della Lega capitanata da Salvini sono stati fulminei. Nemmeno una parola sui ministri, e, da parte dei due leader, giusto la sospirata indicazione del fatidico nome. Non è quello che Mattarella avrebbe preferito. Il presidente teme che non abbia forza sufficiente per smarcarsi dai dikat degli azionisti di maggioranza e che, di conseguenza, sia destinato a trovarsi in posizione di massima debolezza nelle trattative con la Ue. Ma non è nemmeno il nome meno gradito al Colle. Alla fine il semaforo sarà verde.

IN COMPENSO MATTARELLA ha ricordato esplicitamente alle due delegazioni l’articolo 95 della Costituzione, quello che formalizza i poteri del presidente del consiglio. E’ l’avvio di un lavoro lungo finalizzato a garantire l’autonomia del premier dai partiti che lo hanno nominato. E’ un passaggio che il Quirinale ritiene fondamentale sia perché altrimenti Giuseppe Conte non avrebbe l’autorità necessaria per aver voce in capitolo fuori dai confini nazionali, sia perché, in un frangente estremamente difficile e delicato, il presidente vuole avere un capo del governo con le spalle sufficientemente larghe per poter giocare di sponda con lui.

I timori su una possibile crisi con l’Europa, tale da far tracollare i conti pubblici e il risparmio degli italiani, ha tenuto in effetti banco nei brevi colloqui di ieri. Mattarella ha ammonito, segnalato, messo in guardia. Di Maio, uscendo dal salone delle vetrate ha glissato sul punto. Ha insistito sul «momento storico» e ripetuto più volte che il premier è politico e guiderà un «governo politico». Salvini un po’ ha provato a rassicurare: «Nessuno ha nulla da temere dalle nostre politiche economiche, che sono molto diverse da quelle del passato. Qualcuno, all’estero, cambi prospettiva». Poi però, in diretta su Facebook, è tornato a ruggire: «Siamo liberi di dire signornò a Bruxelles».

NON SONO CERTO I TONI che il Colle si augurava di sentire, e devono anzi aver moltiplicato timori già molto forti. Di conseguenza è prevedibile che Mattarella, forte del proprio ruolo costituzionale, cercherà di convincere i due leader a tornare sulla scelta di Paolo Savona come ministro dell’Economia. La nomina di un ministro certo molto qualificato ma che non nasconde la propria opinione ferreamente critica, con ottimi motivi peraltro, sui parametri di Maastricht sarebbe infatti vissuta malissimo a Bruxelles e aggiungerebbe benzina a una fiamma che già minaccia di divampare e trasformarsi in incendio.

ALLA FINE, COMUNQUE, il governo nascerà ma, nonostante l’insistenza di Di Maio sulla sua «storica importanza» nascerà debole: il margine al Senato è esiguo, appena sei senatori. Si spiega così il tentativo in extremis di Salvini di acquisire nella maggioranza anche FdI. Ieri il leghista ha incontrato Giorgia Meloni ma la fumata è stata nera. Sorella Giorgia ha giudicato le offerte «tardive». Probabilmente però si tratta di un percorso appena iniziato: il tentativo di conquistare Fdi proseguirà di certo. Anche perché, in caso contrario, la sorte del governo sarebbe in buona misura nelle mani di Berlusconi e di una Forza Italia che ieri non si è mostrata affatto ben disposta nei confronti del probabile presidente incaricato. «Così M5S e Lega deludono le aspettative» ha tagliato corto la capogruppo Senato Anna Maria Bernini.