Il ricco Regno di Norvegia domani sarà chiamato alle urne per eleggere i 169 deputati che compongono lo Storting, il parlamento monocamerale del paese scandinavo.

La ricchezza della Norvegia deriva, principalmente, dal settore energetico sia rispetto al gas naturale che all’idroelettrico. È l’oro nero, il petrolio, ad aver trasformato, però, il paese in uno dei più prosperi del pianeta. La Norvegia è infatti il terzo esportatore mondiale di petrolio, dopo Arabia Saudita e Russia, che gli garantisce il 42% delle esportazioni delle produzioni del paese fornendo lavoro a 200mila persone (su 5,3 milioni di abitanti) e rappresenta il 25% del Pil dello stato. Il governo ha la proprietà dei maggiori operatori del settore oltre al controllo delle licenze di esplorazione e produzione. Nonostante gli accordi di Parigi e le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) l’attuale governo, guidato dalla premier conservatrice Erna Solberg, non ha invertito la rotta rispetto all’energia fossile che, a tutti gli effetti, rappresenta la maggior fonte di ricchezza dello stato. Il tema della riconversione ecologica unita alla gestione della crisi legata alla pandemia, secondo tutti i sondaggi, potrebbe dopo otto anni dover costringere la destra a lasciare la guida del paese.

Il sistema elettorale norvegese è proporzionale, diviso per 19 collegi, con sbarramento al 4% su base nazionale ma con un peso ponderato tra aree urbane e rurali. La peculiarità nell’attribuzione dei seggi determina l’elezione dei deputati e, quindi, la possibilità di formare governi di coalizione. Se nel 2017 i conservatori di Høyre non furono il partito più votato (25%), superati per pochi seggi dai laburisti dell’Arbeiderpartiet (27%), furono le varie formazioni centriste e populiste a garantire alla premier Solberg la riconferma.

Secondo tutti gli ultimi sondaggi la situazione potrebbe ribaltarsi lunedì notte. Non solo il distacco tra la destra e i laburisti potrebbe aumentare di diversi punti a favore dei socialdemocratici ma sarebbero gli storici alleati centristi a perdere consensi. Nel 2017 si era formato un esecutivo di minoranza tra l’Hoyre e i populisti del Fremskrittspartiet, (FrP, partito del progresso). Nel gennaio 2018 vi fu l’allargamento ai liberali del Venstre e ai cristiano-democratici del KrP, che garantì una maggioranza anche parlamentare.

Successivamente, il partito del Progresso si è sfilato, a causa di contrasti nella conduzione della politiche sull’immigrazione, e il governo è nuovamente divenuto di minoranza. Secondo gli ultimi sondaggi sia i cristiano democratici che i liberali sono a rischio sbarramento mentre sono in forte ascesa i partiti di sinistra e tiene, con oltre il 10%, il Senterpartiet, il partito di centro, attualmente all’opposizione, dalle forti caratteristiche rurali.

Quest’anno ricorre il 10° anniversario dalla strage di Utøya quando il terrorista filo nazista, Anders Breivik, uccise nell’isola vicino ad Oslo 69 giovani al campeggio dell’Arbeidernes Ungdomsfylking, la giovanile laburista. Due anni dopo i socialdemocratici arretrarono notevolmente consegnando il paese alle destre.

Dopo 10 anni i laburisti non solo potrebbero tornare al potere ma si potrebbe formare una maggioranza progressista grazie all’aumento considerevole del Sosialistisk Venstreparti (Vs, sinistra socialista) e di Rødt (il partito rosso) e alla possibilità che i Verdi superino lo sbarramento.

Se i socialisti di sinistra, accreditati al 10%, sono un partito affiliato alla Ngla (sinistra verde nordica), i “rossi” sono una formazione più radicale nata dalla fusione di diverse organizzazioni marxiste, che potrebbero, per la prima volta, superare ampiamente il 4%. Entrambe questi partiti, insieme ai Verdi, sono per un programma di abbandono dalla dipendenza dal petrolio oltre che per un rafforzamento del welfare norvegese, con aumenti ed estensioni di tutele e garanzie, per esempio per le cure odontoiatriche.
L’esito di lunedì, compreso il risultato dei centristi, potrebbe permettere soluzioni più o meno progressiste, quasi sicuramente però, riuscendo ad archiviare gli otto anni di governo conservatore di Erna Solberg.