Nordest, notturno con fabbriche
Scatti Estratto dall'introduzione dell'autore, Francesco Finotto, al suo libro fotografico «Notte a Nordest. Le fabbriche in scena», edito da Antiga Edizioni, vincitore del Premio Hemingway 2024 nella sezione dedicata alla fotografia
Scatti Estratto dall'introduzione dell'autore, Francesco Finotto, al suo libro fotografico «Notte a Nordest. Le fabbriche in scena», edito da Antiga Edizioni, vincitore del Premio Hemingway 2024 nella sezione dedicata alla fotografia
Le Tre Venezie italiane sono diventate Nordest grazie alle fabbriche. Sono le fabbriche, quelle della piccola e media industria, dislocate capillarmente nel territorio che hanno consentito in poco tempo la trasformazione di una società prevalentemente rurale votata all’emigrazione in una industriale, determinando per alcuni decenni una significativa crescita economica e demografica, cambiando radicalmente il modo di vivere, di abitare e di consumare dei suoi abitanti e trasformando definitivamente il territorio. Stiamo parlando delle fabbriche diffuse soprattutto nell’ultimo terzo del Novecento nell’area metropolitana di Padova Treviso e Venezia, con un prolungamento a est fino alla fascia pedemontana di Conegliano, Pordenone e Udine e a ovest a quella di Vicenza, e più in là all’area metropolitana di Verona. Piccole e medie industrie, spesso insediate in zone artigianali o industriali, ma localizzate anche in zona agricola, al cui interno avvengono lavorazioni talvolta straordinarie, che hanno sperimentato forme di aggregazione innovative (il distretto, la rete d’impresa). Eppure queste fabbriche non sono mai state niente di più che capannoni. Salvo rari casi di design industriale (la fabbrica Brionvega di Asolo disegnata da Marco Zanuso con Pietro Crescini, il centro Bergamin a Portogruaro progettato da Gino Valle con Piera Ricci Menichetti; il centro Direzionale Benetton di Villorba progettato dagli architetti Tobia e Afra Scarpa), sono state generalmente percepite come piccole o grandi tettoie, chiuse da elementi prefabbricati: ambienti banali, talvolta imponenti ma spesso sporchi, rumorosi, inquinanti ed alienanti, attraversati da conflitti sociali e da dinamiche di immigrazione significative.
Dopo la crisi economica determinata dalla globalizzazione dei mercati, questi edifici della produzione continuano a restare senza volto, segnati da una stigmate profonda: quella di aver causato la perdita del paesaggio preindustriale, di aver consumato suolo naturale, di aver prodotto un ambiente senza qualità. E questa impronta lacerante contrassegna ugualmente i capannoni del commercio, i magazzini verticali della logistica e i silos in acciaio delle cantine. Come se il Nordest che ha saputo vincere la sfida della povertà non fosse riuscito ad affrontare il disagio dell’abbondanza, trasformandosi da regione macroeconomica a paesaggio.
Passeggiare in notturna tra le zone industriali del Nordest è come muoversi su un set cinematografico diffuso, con i piedi e la curiosità dei botanici. Un esercizio di flânerie agropolitana, dove più che i volti degli uomini, le verande dei caffè e i tram, si incontrano camion che riposano ai lati delle strade, le telecamere di vigilanza e il servizio di ronda della vigilanza notturna. L’oscurità è interrotta da fasci di luce concentrata, dominano i forti contrasti, i colori si fanno violenti e il paesaggio si trasforma in qualcos’altro.
Talvolta il buio sembra prevalere, avvolgendo gli edifici con piccole notti. Queste piccole notti sono la caratteristica del Nordest, poco polarizzato, ma dove la luce inquisitoria dei piazzali si alterna a quella sorprendente degli interni delle nuove costruzioni. I capannoni delle vecchie e nuove aree industriali, quelli dei complessi commerciali, di notte acquistano nuova luce, mostrano una nuova presenza, presentano facciate singolari, immobili e assorte.
Vicino alla costa il cielo notturno del Nordest si fa ancora più intermittente, la notte più profonda, gli spazi tra un grumo luminoso e l’altro più dilatati. Siamo nella Venezia Orientale, un territorio ricostruito nel primo dopoguerra. Forse la sola mappa che ne restituisce la forma è quella dell’inquinamento luminoso, accompagnata, come nelle mappe settecentesche, da una sequenza di vignette, di scene, di prospetti che ne documentano i luoghi caratteristici: i capannoni. Nel montaggio delle fotografie, come al cinema, la regola non è quella della prossimità, ma della sequenza visiva. Le fotografie dei capannoni del Veneto Orientale sono mescolate con quelle del più ampio Nordest, a dar vita ad un unico grande immaginario notturno. Con la curiosità di guardare in modo insolito, di vedere come vengono in fotografia questi edifici fotografati di notte, con tempi di esposizione molto lunghi. Cercando la scena più che il documento. Procedendo per cerchi concentrici, prima il cortile di casa, la Venezia Orientale, poi i territori limitrofi, poi ancora più in là, seguendo il reticolo delle strade extraurbane. Come se si trattasse della raccolta di conchiglie lungo la battigia, o la collezione di frammenti di muro, da montare successivamente in un mosaico o un collage. Non il teatro della metropoli, ma il caleidoscopio del Nordest. Visti di notte i luoghi della produzione, dei servizi e del commercio metropolitano sembrano posti fantastici, che rinviano alle rappresentazioni del cinema e dei fumetti. Fanno pensare alle fiction, a Batman, a Gotham, agli eroi della Marvel Comics, acquistano nuova energia che conferisce vigore alle lavorazioni, talvolta straordinarie, che vi avvengono all’interno.
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