La mano che abbraccia l’elica del piccolo aereo da bombardamento sulla copertina del libro è fresca e giovane, morbida. Il braccio è scoperto e il volto della donna-pilota dai capelli corti mostra meno di vent’anni. Erano tutte molto giovani le ragazze arruolate nell’aviazione russa che combatteva l’avanzata tedesca durante l’ultima guerra, nel 1941. Alcune avevano lasciato i libri e l’università, altre il lavoro dei campi, tutte avevano lasciato la famiglia, spinte dal desiderio di dare il loro contributo ad una guerra che si faceva sempre più aspra, incerta e devastante, e unite dalla comune convinzione che “una donna può tutto”. E’ questo il titolo del libro di Ritanna Armeni dedicato alle coraggiose aviatrici del reggimento 588 dell’armata russa, addestrate a pilotare i piccoli aerei bimotore Polikarpov, costruiti come giocattoli in legno e tela, semplici nel funzionamento ma limitati nelle prestazioni e privi di strumenti tecnici e ottici per prendere la mira. Non ci sono paracadute per mancanza di spazio e inizialmente la navigatrice deve tenere in grembo le bombe da lanciare (solo in un secondo tempo verrà “inventata” una specie di scatola di legno posta sotto il bimotore, che sgancerà le bombe da uno sportello comandato da una cordicella). La pilota dispone soltanto di una cloche per sollevarsi o per scendere, senza alcuna strumentazione che le garantisca orientamento e visibilità. Se solo si pensa a questa penuria di attrezzature, il bombardamento delle postazioni tedesche sempre più vicine a Mosca appare un’impresa pressocché impossibile. E ancor più incredibile ci sembra il terrore suscitato nella Wermacht da queste invisibili e inafferrabili aviatrici i cui velivoli apparivano di notte all’improvviso, sganciavano bombe a ripetizione e ripartivano immediatamente scomparendo in cielo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “streghe della notte”. Così quelle che all’inizio erano state sopportate malvolentieri e prese in giro dagli stessi colleghi dell’armata russa furono coloro che, pur entrate come forza di supporto, finirono con lo sconfiggere il nazismo e vincere la seconda guerra mondiale.

Il libro nasce da lunghe conversazioni che Ritanna Armeni ha avuto a Mosca con l’ultima superstite di queste eroine nazionali, Irina Rakobolskaja, docente di fisica e vice comandante del reggimento 588 creato da Marina Raskova, prima aviatrice russa cui fu dedicato anche un francobollo, che, grazie alla sua posizione di grande trasvolatrice e alla stima personale di Stalin, era riuscita a convincerlo ad istituire una milizia femminile di aviatrici. Irina ha già 96 anni quando Ritanna Armeni riesce a rintracciarla, ed accetta di raccontare le vicende del suo gruppo, senza tralasciare le difficoltà, le incertezze e persino il livello d’improvvisazione che l’istituzione di un reggimento femminile inevitabilmente porta con sé. Come quando, dopo gli allenamenti tecnici, arrivano le divise, ma sono tutte da uomo e assolutamente sproporzionate per il fisico delle ragazze, che sono costrette a stringerle ed accorciarle personalmente con forbici ago e filo. Stesso discorso per le calzature troppo grandi, che vengono “riempite” con fasce di lana. Ironia della sorte, quando poi arriveranno le divise femminili, tutte troveranno le gonne troppo scomode per salire e scendere dagli aerei, e le metteranno da parte per usarle soltanto in parata. E’ poi necessario tagliare i capelli per poter mettere casco ed occhialoni, operazione affidata al barbiere del reggimento, che vedrà ammucchiarsi a terra trecce brune, bionde e rosse come un tributo simbolico di rinuncia alla femminilità. Dal racconto di Irina emerge anche l’ostilità del contesto militare maschile che non vede di buon occhio questa singolare milizia femminile ed usa la sufficienza, l’ironia e persino lo scherno per minimizzarne l’importanza, fino a mimare una specie di aggressione in volo che spaventa e disorienta le aviatrici mentre dalla base di Engels si dirigono in formazione verso il fronte meridionale e la linea del fuoco. In pratica – come spesso accade ovunque le donne svolgano compiti tradizionalmente riservati agli uomini – le “streghe” sono costrette a combattere, oltre che col nemico, anche sul fronte interno dei colleghi scettici, e ciò non fa che rinforzare le uniche difese a loro disposizione: il distacco, l’alterigia e il separatismo. La Armeni nota nei racconti di Irina uno spirito affine a quello del femminismo radicale degli anni ’70, benché a mio avviso qui manchi una componente essenziale di quel femminismo, e cioè lo spirito antibellico nato come opposizione radicale e diffusa all’interminabile conflitto americano in Vietnam, assieme al movimento internazionale dei “figli dei fiori”. Ovviamente, in Russia, l’urgenza di metter fine al conflitto sbaragliando l’invasione nazista che era giunta a lambire i punti focali del paese non lasciava alcuno spazio ad un ideale pacifista. Credo invece che quest’istanza appaia nel modo di raccontare con pudore le perdite da parte dell’autrice, che non indulge mai alla rappresentazione realistica e dettagliata degli incidenti, in cui pure muoiono queste ragazze coraggiose: nella descrizione dei Polikarpov bersagliati dai caccia tedeschi si ha la sensazione di assistere a uno spettacolo di fuochi fatui o di lanterne giapponesi che si incendiano in cielo, come a voler tralasciare l’aspetto realistico per esaltare l’alone mitico e favoloso delle “streghe” che erano state capaci di spaventare gli ufficiali della Luftwaffe.

Per una curiosa coincidenza, questo libro esce contemporaneamente a Le assaggiatrici di Rosella Postorino, che parla invece di un gruppo di donne tedesche, quindi dall’altra parte del fronte, obbligate ad assaggiare i cibi di Hitler, sempre durante l’ultima guerra. In questo caso il romanzo è affidato completamente alla fantasia della scrittrice che inventa ex novo un mondo femminile costretto da regole militaresche inevitabilmente disattese. E’ interessante l’attenzione di queste due autrici giovani per l’ultima guerra, e le nuove prospettive aperte da loro sul mondo femminile dell’epoca, anche a quei tempi in qualche modo refrattario alle regole del mondo maschile. Vogliono forse dirci che la liberazione, ieri come oggi, passa inevitabilmente per strade tortuose e sconosciute?