Sebastiano Calleri, responsabile Salute e sicurezza della Cgil nazionale, oggi è la Giornata per Mondiale per la salute e sicurezza sul lavoro: è una data rituale o incide realmente?
A livello internazionale si ricordano i caduti e ammalati di patologie professionali. È stata fissata molti anni fa ed è ovvio che in ogni paese abbia valenze diverse. Nel mondo anglosassone è una vera e propria commemorazione dei morti mentre da noi per molto tempo l’abbiamo rinominata come Giornata della Salute e sicurezza sul lavoro, senza accezione sui morti. È sempre stata una giornata celebrata unitariamente, quest’anno abbiamo deciso di riaccendere il faro sulle malattie professionali, tema sottovalutato, preparando con l’Inca, che segue i lavoratori, un documento.

Perché ritenete le malattie professionali sottovalutate? Forse sono oscurate dalla strage quotidiana sul lavoro?
Sì, le malattie professionali nel 2023 sono state 72.754, aumentate del 19% rispetto al 2022: esiste una situazione molto pesante in tantissimi settori. Anche perché in Italia su 100 domande di malattie professionali ne vengono riconosciute solo 34.

Poco più di una su tre: per quali motivi tutta questa ristrettezza? Colpa dell’onda mediatica sui falsi invalidi?
Le ragioni sono essenzialmente due. La prima riguarda il budget in materia dell’Inail che è fin troppo oculato per questa tipologia di infortunio e prevede l’attribuzione di un punteggio di postumi permanenti: dal 6% al 15% un indennizzo in relazione danno e all’età; dal 16% al 100% con una rendita vitalizia. La seconda ragione è che la Valutazione del rischio non comprende il rischio specifico che è correlato al quel posto di lavoro o tipo lavorazione: spesso la malattia non viene riconosciuta se il rischio non fa parte di quelli previsti.

Voi e l’Inca cosa avete previsto per oggi?
Un dossier informativo che distribuiremo in tutti i luoghi di lavoro: stiamo facendo una serie di azioni di formazione e informazione per i delegati e Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza Rls che devono avere una grande conoscenza del ciclo di lavorazione. Denunciare un infortunio infatti non è così semplice. Senza una collaborazione fra delegati, Rls e Patronati le denunce di malattie professionali sono molto difficili.

Tutto porta a pensare che i dati siano sottostimati.
Assolutamente sì, si tratta delle sole denunce, ma molti lavoratori non se la sentono di farle.

Anche grazie alla denuncia del manifesto, sono finalmente noti i dati di morti e infortuni sul lavoro rispetto alla tipologia contrattuale: ora sappiamo che i lavoratori precari muoiono e si infortunano il doppio di quelli stabili.
Nella statistica Inail non esiste altra tipologia contrattuale che il tempo determinato, non è previsto il dettaglio del supermarket della precarietà. Ha una chiara origine del tentativo di nascondere l’incidenza del precariato su morti e infortuni. In più, i cantieri e la logistica sono pieni di partite Iva e queste sono assimilabili al lavoro autonomo, legati agli appalti. Si tratta delle tipologie contrattuali più deboli dove si annidano morti e infortuni.

Cosa si può fare per evidenziare ulteriormente il pervicace rapporto tra precarietà e morti-infortuni in modo da ridurlo al più presto?
Inail non conosce i nomi degli assicurati, per l’istituto i lavoratori sono solo numeri. Il rapporto è solo con le aziende. Da decenni sosteniamo che dovrebbe avere l’anagrafe degli iscritti e incrociare i dati con le tipologie degli infortuni. Lo sforzo di trasparenza c’è stato ma le banche dati non sono facilmente consultabili. La richiesta non è stata approvata da nessun governo.