A Favara è stata avviata «una pulizia straordinaria degli spazi esterni alle strutture comunali». A Dorgali c’è un «progetto per la gestione partecipata delle aiuole pubbliche». A Genzano sono stati «effettuati dei sopralluoghi per verificare le condizioni di strade, scuole e parchi pubblici». A Roma è un disastro, ma le altre amministrazioni comunali a 5 Stelle – come da ieri si legge sulla nuova pagina del blog di Grillo che le raduna assieme – si danno molto da fare. E Luigi Di Maio, front man grillino e responsabile degli enti locali, il giorno dopo aver denunciato all’ordine dei giornalisti una decina di cronisti sgraditi al movimento, presenta il sito e chiarisce la sua idea di giornalismo: «Vi sfido a parlare dei nostri risultati, non ci sto alla narrazione delle incapacità del M5S. Per un giorno non parlate di gossip o fake news, ma dei risultati dei nostri sindaci». Che sono tutti sul sito. A Porto Torres «a soli 7 giorni dal conferimento ufficiale dell’incarico, gli eletti si sono trovati con pale, rastrelli, sacchi e carriole a pulire le spiagge del territorio comunale». Nel frattempo però hanno anche espulso una consigliera comunale del movimento perché fidanzata con un giornalista sgradito al sindaco.

«Io non faccio liste di proscrizione, non sono Berlusconi», ha detto ieri Di Maio. Ma ha aggiunto che «se anche il M5S fosse il male dell’Italia non ce lo devono dire i nostri detrattori o i giornalisti, ma i cittadini». Ha potuto però spiegare che «la lista dei nomi dei giornalisti che secondo noi hanno danneggiato il Movimento mi era stata chiesta dal presidente dell’Ordine dei giornalisti attraverso un comunicato apposito». Ed è vero. Il 6 febbraio Enzo Iacopino aveva riconosciuto casi di «cronache, ricche di particolari e interpretazioni, che nulla hanno a che vedere con la verità documentale» e aveva invitato Di Maio a non fare generalizzazioni e segnalare i comportamenti di «singoli colleghi». Cosa che Di Maio ha fatto, con una lettera su carta intestata della camera dei deputati (ne è il vicepresidente) consegnata a mano a Iacopino, nella quale ha segnalato il comportamento a suo dire deontologicamente scorretto di una decina di cronisti di Repubblica, Corriere della Sera, Stampa, Messaggero, Giornale e Quotidiano Nazionale.

Non è piaciuto ai 5 Stelle il fatto che a proposito delle polizze stipulate come investimento da Salvatore Romeo, ma con l’indicazione come eventuale beneficiaria in caso di morte di Virginia Raggi, questi giornali abbiano avanzato l’ipotesi di condizionamenti, ricatti, voti di scambio dietro l’avanzata grillina a Roma. Anche perché la procura ha quasi subito fatto sapere che non ci sono aspetti penalmente rilevanti circoscritti alle polizze. La denuncia di Di Maio farà il suo corso attraverso i consigli territoriali di disciplina dell’ordine. Iacopino ha detto ieri di non aver gradito che il vicepresidente della camera abbia pubblicato quei nomi, «un elenco che aveva molto il sapore di una lista di proscrizione». La disponibilità verso i grillini del presidente dell’ordine (il cui mandato è scaduto alla fine del 2016, ma è stato prorogato per sei mesi dal governo in attesa della riforma dell’editoria) è stata però smentita da diverse dichiarazioni ben più allarmate di buona parte della categoria giornalistica. Dalla presidente dell’Ordine del Lazio, al segretario del sindacato nazionale giornalisti, dal sindacato romano all’Unione nazionale cronisti.

E nel frattempo Grillo ha rincarato la dose, scrivendo sul blog che «i giornali si credono una casta intoccabile, chi li mette in discussione è un eretico». E il deputato M5S Toninelli ha spiegato che «è ovvio che chi sta in piedi grazie al finanziamento pubblico all’editoria ci attacca, quando governeremo noi daremo i fondi in modo meritocratico». Sceglieranno loro.
Intanto Di Maio, affiancando ancora M5S e Trump, ha previsto che «in Italia finirà come negli Usa. Gran parte dei media ci attaccherà fino alle elezioni. Poi avranno una brutta sorpresa e dovranno fare come il New York Times, saranno costretti a scusarsi con i cittadini per non averci capito niente». Ma che il NYTimes si sia scusato è, direbbe Di Maio, una bufala. Mentre l’editore e il direttore hanno affrontato il risultato «imprevisto» promettendo più impegno e indipendenza, il columnist della rubrica sui media ha riconosciuto (e come non?) che tutti i grandi mezzi di informazione e i sondaggi avevano sbagliato previsione. Ma ha poi fatto notare come i quotidiani attacchi di Trump ai giornali stiano producendo l’effetto di far aumentare vendite abbonamenti online. Di Maio lo sa?