Greenpeace è stata una delle organizzazioni che più si è spesa per descrivere il progressivo declino delle popolazioni di acciughe e sardine causato da uno sfruttamento eccessivo. Purtroppo questo preoccupante impoverimento non è limitato solo a queste due specie, ma fotografa lo stato di crisi generale della maggior parte delle risorse ittiche del Mediterraneo. Serena Maso, responsabile della Campagna Mare di Greenpeace ci spiega come un mare un tempo prospero e ricco di biodiversità sia arrivato al collasso.

In base a quali dati non solo voi, ma anche esperti scientifici ed Unione Europea, da tempo state lanciando l’allarme?

Per quanto riguarda le acciughe, comparando i dati relativi alle catture del 2013 con quelli del 2012, si registra un calo del 30 per cento, con una riduzione dei ricavi di circa il 26 per cento. In generale, tra tutti i mari europei, il Mare Nostrum è quello che versa nella condizione peggiore. Il comunicato della Commissione Europea sulle possibilità di pesca per l’anno 2018, che riferisce in merito ai progressi compiuti nel conseguire una pesca sostenibile, mentre riporta che in mari come il Baltico, il mare del Nord, quelli nordoccidentali e anche l’Iberico sono in miglioramento i dati relativi alle entità degli stock ed ai metodi di pesca, per il Mar Mediterraneo si è ancora lontani dagli obbiettivi. Mentre negli altri mari i pesci aumentano, nel Mediterraneo c’è un livello di sovrasfruttamento di 2 o 3 volte superiore al rendimento massimo sostenibile; un numero esiguo di attività di pesca praticate nel Mediterraneo avviene con modalità compatibili con la sostenibilità. Una situazione non diversa e probabilmente peggiore di quella da noi denunciata nel 2016, quando lo stesso tipo di rapporto indicava che il 93% degli stock valutati non era pescato in modo sostenibile.

Oltre alle acciughe e il già noto tonno rosso, quali altre specie sono maggiormente in pericolo?

Il pescespada è una specie fortemente in declino. Fin dagli anni Settanta le catture di questa specie hanno iniziato a diminuire, a causa soprattutto della pesca eccessiva e illegale. Oggi la popolazione di pesce spada del Mediterraneo è diminuita del 70 per cento. Se ne pesca così tanto che le catture attuali sono il doppio rispetto al livello massimo ritenuto sostenibile dagli esperti scientifici. L’Italia poi vanta una triste storia di pratiche illegali, come l’utilizzo delle cosidette reti derivanti, le spadare, definite dei veri e propri “muri della morte” per le altre specie. Queste violazioni, che secondo la Ue sono direttamente imputabili alle carenze nei controlli e all’inadeguatezza delle sanzioni, oltretutto gravano sui contribuenti italiani: per farvi un esempio nel 2008 l’Italia ha dovuto restituire all’Ue 7,7 milioni di euro. Per la prima volta nel 2017 la Commissione Ue ha attribuito le quote anche per il pesce spada, e l’Italia è stata fortemente,e giustamente, penalizzata. A questo proposito come Greenpeace abbiamo criticato apertamente l’ex Ministro delle Politiche agricole e Forestali Martina che aveva annunciato di aver avviato un ricorso alla Corte di Giustizia europea contro la decisione della Commissione Ue. Una mossa di propaganda elettorale, a vantaggio della pesca illegale e a discapito dei pescatori onesti e delle risorse comuni.

Cosa possono fare i consumatori di pesce per non contribuire alla distruzione delle nostre risorse?

I consumatori hanno una grande responsabilità. Sul mercato italiano ci sono una serie di prodotti di cui non è chiara l’origine (provenienza, tipo di pesca). Esistono alcune produzioni che sono generalmente più sostenibili di altre, come il pesce azzurro e le cozze d’allevamento, ma è difficile prescindere da valutazioni caso per caso. Quindi la regola fondamentale è quella di informarsi: abbiamo il diritto, e il dovere, di sapere cosa compriamo e a quali costi ambientali e sociali. Facendo domande al momento dell’acquisto e documentandosi con l’abbondante materiale disponibile in rete. Sul nostro sito per esempio si trova una guida ai consumi ittici (http://fishfinder.greenpeace.it) che segnala le specie che non dovrebbero essere acquistate in Italia e perché. Abbiamo anche stilato la classifica “Rompisca,la sostenibilità delle scatolette di tonno vendute nel nostro Paese, che abbiamo realizzato inviando un questionario a ben 14 aziende che coprono più dell’80% del mercato nazionale. L’industria del tonno al momento non può essere considerata sostenibile, ma iniziative come questa hanno la funzione di spingere le imprese verso una maggiore sostenibilità e orientare i consumatori ad acquisti più responsabili.