Dunque, governo di tregua, di garanzia, neutrale, tecnico, del presidente, salvo un ravvedimento operoso di Berlusconi ai rigori. Intanto, il totonomi impazza, per il premier e anche per i ministri, che si dice il capo dello Stato avrebbe già nella penna. Ma sarà, salvo colpi di scena dell’ultimo minuto, un governo senza fiducia e di breve durata. Ne sarà venuto qualche problema a Mattarella, per la probabile riluttanza dei tecnici di alto profilo in posizioni di prestigio e non in scadenza a lasciarle per un governo di corta vita e ristretto agli affari correnti. In tali casi i candidati più idonei sono i pensionati. Un governo di pensionati di eccellenza?

È ben vero che molti auspicano un ritorno alle urne non immediato, in una data da settembre alla primavera 2019. Sono ipotesi difficilmente sostenibili, per l’articolo 94 della Costituzione, che impone al governo di presentarsi alle camere per la fiducia entro dieci giorni dalla formazione, e l’articolo 61, per cui le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro 70 giorni dalla fine delle precedenti.
L’articolo 94 indica che entro un paio di settimane giungeremo al diniego della fiducia. Seguiranno le dimissioni del governo, e inevitabilmente – salvo novità dell’ultima ora – lo scioglimento delle camere, avendo il capo dello Stato già accertato l’inesistenza in parlamento di qualsiasi maggioranza.

Qui entra in gioco l’articolo 61. Il tempo tra fine legislatura e voto non può superare i 70 giorni. Può essere inferiore, mai superiore. Quindi uno scioglimento anticipato – che pone fine alla legislatura – non può aver luogo più di 70 giorni prima delle elezioni. Per votare a fine luglio lo scioglimento non può avvenire prima del 10-15 maggio; per fine settembre prima del 10-15 luglio; per fine ottobre prima del 10-15 agosto; e così via.
Volendo ritardare nel tempo il ritorno alle urne, il capo dello Stato dovrebbe dal giorno – assai vicino – della mancata fiducia ingessare il governo sfiduciato a palazzo Chigi facendo finta di nulla e non sciogliendo le camere per molte settimane o addirittura mesi. Il rinvio del voto sarebbe fondato sull’inerzia del capo dello Stato. Quanto più si allontanasse la data del voto, tanto più lunga dovrebbe essere l’inerzia. Sarebbero esiti politicamente e costituzionalmente inaccettabili, soprattutto perché perseguiti conoscendo la impossibilità di qualsiasi maggioranza.

È la data del diniego di fiducia a determinare l’agenda, non i desideri del capo dello Stato, o di chicchessia. Dal diniego che appare prossimo verrà la spinta per il voto al più presto. Meglio sarebbe forse stato avere tempi di crisi più rapidi, in modo da avere una via aperta per le urne a giugno.

Con quale legge elettorale? La brevità dei tempi già suggerisce che non sarà possibile mettere in campo una modifica del Rosatellum. Inoltre, un governo sfiduciato e in carica per gli affari correnti di sicuro non ha titolo ad occuparsi di leggi elettorali, né ovviamente potrebbe inchiodarle sul parlamento a colpi di questione di fiducia come fece Renzi con l’Italicum. E come sciogliere il dilemma tra premio alla coalizione o alla singola lista, che con una parola potrebbe assegnare la vittoria all’uno o all’altro contendente? In fine, il Rosatellum, ideato a proprio favore dagli apprendisti stregoni del Pd, si è poi dimostrato generoso con il centrodestra, ed in specie la Lega, e M5S, oggi forze numericamente maggioritarie nelle Camere. Perché dovrebbero voler cambiare? È ben vero che un sistema multipolare trova nel proporzionale e nella capacità di fare coalizione e stringere accordi di governo la chiave di un’efficienza di sistema, come si trova nella libera scelta del proprio rappresentante la forza di una politica radicata. Sarà per un’altra volta.

Infine, alcuni apprezzano il governo del presidente in quanto europeista. Ma potremo mai essere forti in Europa con un governo sfiduciato alla nascita, e destinato ad essere sostituito a tempi brevi da un esecutivo probabilmente portatore di politiche diverse?
E allora affidiamoci ai nostri pensionati eccellenti. In fondo, siamo il paese più vecchio d’Europa, e dunque abbiamo anche i pensionati più autorevoli. Se in Europa non avranno peso politico, possiamo sperare che sopperiranno con quello dell’età.