Non si costruisce il futuro cancellando le identità
Sinistra Una convocazione senza nomi per l’assemblea di febbraio, una piattaforma digitale già decisa, la rimozione del documento sottoscritto (quello sì) da tutti. Un inizio con troppi equivoci
Sinistra Una convocazione senza nomi per l’assemblea di febbraio, una piattaforma digitale già decisa, la rimozione del documento sottoscritto (quello sì) da tutti. Un inizio con troppi equivoci
Sarebbe bastata una rimozione meno eclatante di qualche decennio di pensiero femminista sulla necessità di svelare le mistificazioni del neutro, di nominare le differenze, di mettere al centro i corpi sessuati e parlare a partire da sé e dalla propria parzialità, per sconsigliare «ai ragazzi» di autoproclamare un appello non firmato come una «proposta credibile» per «la sinistra di tutti». Un testo «non proprietario» il cui lancio pubblicitario è avvenuto però alla stessa ora, con messaggi sponsorizzati (non aprirò questioni di stile: sono old-fashioned), sulle pagine Facebook di autorevoli (e meno autorevoli) dirigenti di Act e Sinistra Italiana.
Per la verità, sarebbe bastata anche un vaga reminiscenza delle pagine del barbuto di Treviri sulla falsa neutralità del citoyen (quella vecchia storia della società divisa in classi) per evitare quel «di tutti», che suona, nel suo furore interclassista, così subalterno al cittadinismo grillino, all’ «uno vale uno», all’incontriamoci e decidiamo in rete che prospettiva abbiamo sull’Europa, se poi andiamo coi Verdi o con Farage. E, ancora più semplicemente, sarebbe bastata la lettura di qualche opuscolo sull’altro consumo, su etichettatura e tracciabilità, per evitare di pensare che qualcuno compri un prodotto di cui non si dice l’origine solo perché è pubblicizzato all’ora giusta (il giorno dopo le elezioni spagnole) e messo in una confezione accattivante.
Provando a dare un nome alle cose (ve li ricordate, il nome e la cosa?), Sel, che già dalla scorsa estate discute del proprio autoscioglimento e ha investito persone e risorse sul progetto di una piattaforma digitale («non proprietaria», ma di fatto volutamente tenuta fuori dalla discussione comune del “tavolo” unitario, dopo un seminario a Cecina dello scorso settembre), ha deciso con il movimento di Fassina di fondare un nuovo partito, che ha già un gruppo parlamentare, Sinistra Italiana. Per brevità (solo per brevità) chiameremo questa cosa Piattaforma Digitale della Sinistra, Pds 2.0. I Pds 2.0 concordano, quindi, di sostenere un testo di Act che parla di partecipazione. Concordano la data. Sulla città e la sala faranno sapere. Insomma, venite. Casa nostra, il Pds 2.0, è aperto. Speriamo non pensino ad aprire anche il televoto per risolvere la competizione sul leder tra i giovani maschi in campo.
Ma il Pds 2.0 è il contrario di una sinistra di tutti anche perché volutamente non unitario. Nasce sulla rimozione del documento sottoscritto da tutti (compresi gli anonimi estensori dell’appello) Noi ci siamo, che, pur coi suoi limiti (a partire dal suo carattere monosessuato), convocava un appuntamento unitario a metà gennaio. Su questo appello aveva lavorato molto l’Altra Europa, proprio nella direzione unitaria. Evidentemente però, dopo la fondazione di Sinistra Italiana il terreno unitario è diventato un inciampo alla fondazione di un nuovo partito (basti vedere le recenti dichiarazioni di Vendola a Repubblica).
Si dirà, ma è un appuntamento (al buio) aperto: aperto a chi è alternativo al Pd e a chi vuole sostenere Sala (come dice una giovane assessora milanese di Sel), a chi vuole stare nel Gue e a chi non vuole uscire dai Socialisti, a chi ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione e a chi si accinge alla campagna referendaria. Su tutte queste quisquiglie, come la prospettiva europea e l’alternatività al Pd, sarebbe stato evidentemente retrò avanzare una proposta da sottoporre alla discussione. C’è solo una condizione già decisa e sottratta alla discussione di tutti (e che disvela carattere fintamente non proprietario dell’appello): bisogna essere disponibili allo scioglimento. Tradotto: per costruire la sinistra vanno bene tutti, tranne quelli che non si convincono che il comunismo sia solo una tendenza culturale, un fatto privato, un elemento di nostalgia. Quelle e quelli sono palle al piede che minano la qualità del processo, anche se da anni propongono una sinistra unitaria e basata sul principio una testa un voto (dunque, «non un cartello, né una federazione»).
Ora, «i ragazzi» a cui Cofferati vuole passare il testimone (verrebbe spontaneo chiamarli Coffy boys, ma è doveroso non farlo) sostengono virilmente che i processi politici «si aprono a spinta». Anche a spinta fuori di qualcuno. Che dire? No grazie. Questo è un gioco che non mi piace, preferisco la sottrazione.
La storia della sinistra italiana è già stata avvelenata abbastanza (mescolo tragedie e farse degli ultimi trent’anni) dall’idea che per costruire la sinistra le comuniste e i comunisti dovessero rinunciare a un proprio nome e cognome. Così come la retorica generazionale del passaggio del testimone e della “discontinuità” ha già prodotto dirigenti che poi hanno confuso i social forum e la Leopolda.
Personalmente continuerò a battermi da compagna, femminista e comunista, affinché anche in Italia ci sia una forza politica che cambi i rapporti di forza, affinché la costruzione di una sinistra unita sia in primo luogo un lavoro socialmente utile: una sinistra europea, interna al Gue, alternativa al Socialismo europeo e al Pd; una casa comune della sinistra e tante agorà in cui si riavvii un processo di politicizzazione di massa e una ripresa del conflitto sociale (grandi assenti del contesto italiano); una sinistra che riconosca e connetta la molteplicità delle forme del fare politica, del fare società, del fare cultura oggi; che costruisca pratiche mutualistiche e forme di autogoverno. Non sono abituata ad arrendermi, né a nascondermi. A lottare, sì.
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